La cosa più curiosa di queste ore, dopo il voto siciliano, è leggere gli appelli di esponenti del PD, soprattutto i renziani doc, per la ricomposizione unitaria del centrosinistra. Sono gli stessi che non si sono mai interrogati sulle sconfitte di questi anni, nelle elezioni regionali e comunali e poi nel referendum del 4 dicembre. Anzi in quella occasione ci spiegavano, andate a rileggere i loro post, che in fondo nel referendum il PD non aveva perso ma aveva “confermato un bacino elettorale del 40%”.
Ora, alla luce della batosta in Sicilia, peraltro assai prevedibile, dicono che la colpa è della divisione che ha voluto Mdp. Però subito dopo, per addolcire il clima, chiedono di “mettere da parte i rancori” e trovare una intesa in vista delle prossime elezioni, e si dimenticano che in Sicilia l’elemento scatenante della frattura è stato l’accordo siglato a Roma tra Renzi e Alfano. Tuttavia quello che emerge è che in materia elettorale sono abbastanza deboli sui conti. In Sicilia anche sommando i voti di Micari con quelli di Fava non c’era comunque partita, e probabilmente la somma non sarebbe stata intera, poiché una parte dei voti di Fava difficilmente avrebbe accettato l’accordo con il PD. E poi se il problema fosse davvero quello dei “rancori personali” la prima cosa che dovrebbero fare per rendere credibile l’appello all’unita’ sarebbe quello di mettere da parte Renzi, in quanto fattore divisivo. Certamente non il solo e non da una sola parte, ma indubbiamente il più condizionante. Invece così non è. Anzi l’unità si dovrebbe trovare proprio sotto la sua guida. Siamo alla recita dell’assurdo. In realtà non si vuole affrontare il problema di fondo, che è quello delle politiche fatte in questi anni, dal lavoro, alla scuola, alle riforme che strizzano l’occhio al plebiscitarismo, alla mancanza di azioni visibili e credibili per combattere o ridurre le diseguaglianze. Sono queste politiche che hanno deluso e demotivato tantissimi elettori e militanti della sinistra e del centrosinistra e li hanno spinto verso il non voto, non le alchimie o le tattiche sugli schieramenti politici, e nemmeno le battute velenose fra Renzi e D’Alema. La vera rottura, oppure chiamiamola scissione di massa, è avvenuta sui contenuti delle politiche non sulla scelta di alcuni di lasciare il PD per fare Mdp. È lì che è saltato per tanti il senso della rappresentanza. Non ci si riconoscono più. Poi la gestione del partito, la personalizzazione, le logiche di potere, hanno fatto il resto. Ma tutto questo, almeno per me, oggi interessa poco. Quello che invece mi interessa è il fatto che per rimotivare e riportare al voto quella fetta enorme di elettori delusi, senza i quali il centrosinistra non può vincere, ci vuole qualcosa di più di ciò che si è cercato di fare con la candidatura di Fava in Sicilia. Che comunque non è da buttare perché il 6% è sempre il doppio del “partitino del 3%”. Tuttavia il tema resta quello di riuscire a mettere in campo un progetto aggregante a sinistra che sia credibile e in grado di segnare una novità nel panorama politico italiano, in quanto capace di dare rappresentanza alla domanda di cambiamento economico nel senso dell’equita’ e della giustizia sociale. Questo è l’obbiettivo, forse ci vuole tempo ma non dobbiamo demordere. Mi aspetto una risposta dalla riunione nazionale di ArticoloUno-Mdp già nelle prossime ore.
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