Negli ultimi giorni la discussione politica si è concentrata sul taglio dei parlamentari. La legge-bandiera proposta dal M5S a sostegno della campagna demagogica contro la cosiddetta casta dei partiti. Una campagna che ha sfondato nell’opinione pubblica anche grazie e soprattutto all’atteggiamento del sistema mediatico, che ha alimentato disinformazione e demagogie. Ma anche la politica e i partiti hanno le loro colpe, perché si sono rivelati incapaci di affrontare e dare risposte al progressivo processo di sfiducia che si andava sviluppando nel Paese.
Alla base di questo processo c’era, e c’è, il logoramento e la perdita di credibilità della rappresentanza, che è il fulcro del rapporto fra elettori ed eletti. A questo hanno contribuito non poco le leggi elettorali, come il “Porcellum” voluta dal centrodestra e il “Rosatellum” voluto dal PD di Renzi. Ma un fattore essenziale è stato la crisi dei partiti, travolti dalla personalizzazione della politica. E anche da vicende di malaffare che hanno spinto all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e verso pratiche affaristiche connesse al reperimento delle risorse. Per anni si è parlato dell’esigenza di attuare l’Articolo 49 della Costituzione per rilanciare il “metodo democratico” e la partecipazione dei cittadini alla politica, oltre a rendere trasparente il funzionamento del sistema politico. Ma nei “partiti dei leader”, che tendevano a diventare “partiti personali”, tutto questo non ha trovato spazio e attenzione. E ora si deve fare i conti con un populismo diffuso carico di sentimenti ostili ai partiti e alla politica. Sta qui, a mio parere, la spiegazione del voto largamente condiviso, quasi bulgaro, della Camera sul taglio dei parlamentari. Una decisione che allo stato delle cose altera gli equilibri sul piano democratico e istituzionale e che ha bisogno di correttivi e di misure integrative per garantire la coerenza e la funzionalità dell’assetto Costituzionale. Dunque si tratta certamente di una riforma discutibile e azzardata. Per di più propagandata da Di Maio & C. con argomenti risibili e controproducenti per la credibilità del Parlamento. E tante sono le perplessità e i malumori che si sono manifestati in queste ore nel mondo democratico e di sinistra. Più che comprensibili. Ma il punto è che questa scelta era una delle condizioni principali per la nascita del Governo attuale e bloccare la richiesta di elezioni anticipate sostenuta da Matteo Salvini. Infatti è scritta nel programma.
Ora, a meno che non ci sia un ripensamento sull’idea di evitare il voto anticipato, e si confermi invece il proposito di provare a costruire uno scenario politico alternativo alla destra nazionalpopulista, quella decisione era nelle cose. Tuttavia ciò non porta ad una posizione di attesa. Semmai deve stimolare riflessione e iniziativa su come raccogliere la necessità e l’occasione delle misure mancanti e integrative per riformare il sistema politico, nel senso di renderlo coerente e rigenerativo con lo spirito e il dettato della Carta Costituzionale. Allora riprendere in mano il tema della rappresentanza e della funzione dei partiti può essere un’opportunità assai rilevante per le forze democratiche del nostro Paese.
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