Ieri, parlando con un amico e compagno che conosco da almeno trent’anni, commentavamo la situazione politica e abbiamo usato la definizione di “buco nero” sia sulle prospettive dell’Italia che su quelle della sinistra. Una sorta di pessimismo su tutta la linea. Poi, più tardi, ho letto la straordinaria notizia sul “buco nero” fotografato nell’universo, con l’immagine diffusa ai ricercatori, e allora mi sono detto che forse qualche piccola luce si può riaccendere. In tal senso spero che l’idea di attivare momenti di confronto aperti nello “Spazio incontri Alex Langer” serva a ritrovare e rimotivare tante energie progressiste e di sinistra che allo stato vivono una fase di delusione e di disimpegno, al massimo concentrate e asserragliate sui social media. Io continuo a pensare che il confronto diretto, il faccia a faccia, sia una esigenza fondamentale per chi ritiene che la comunità e il rapporto con gli altri siano un valore. E questo me lo conferma anche un articolo interessante e ben argomentato di Massimo Gaggi su “La lettura” del Corriere della Sera. Gaggi scrive da Detroit e racconta come tra i pionieri e i primi attori della rivoluzione digitale stia prendendo campo un forte allarme sull’evoluzione delle tecnologie autonome. Il titolo dell’articolo è “L’amoralità degli algoritmi” e ci dice che la ricerca della massimizzazione dell’audience avviene con l’hackeraggio dei cervelli e provoca disastri capaci di sovvertire e regole della convivenza civile. Indubbiamente si tratta di un bel tema, che meriterebbe un approfondimento.
Sullo stesso numero, l’ultimo, del settimanale c’è un dibattito sul federalismo che muove dalla ricorrenza dei 150 anni dalla morte di Carlo Cattaneo. Negli ultimi decenni su questo tema si sono succedute iniziative e discussioni, e anche riforme, che non hanno portato a esiti positivi e, di fatto, sono approdate ad una posizione di abbandono di ogni riferimento verso questo obbiettivo. Oggi si parla, su proposta delle Regioni a guida leghista, del riconoscimento delle autonomie regionali differenziate in un contesto che porterebbe a disunire il Paese, poiché accentuerebbe i fattori di squilibrio territoriale sul piano economico e sociale, con riflessi aggravanti e pesanti sul sistema dei servizi ai cittadini. Non è certamente un passo avanti. Mentre va detto che una proposta organica di federalismo in Italia non è stata mai messa in campo. Forse il tentativo parlamentare più avanzato è stato nella XVI legislatura con la bicamerale sul federalismo fiscale, poi rapidamente messo da parte con l’arrivo della crisi e del Governo Monti. Comunque nel dibattito su “La lettura” viene ripreso il tema con l’idea che la chiave di un vero federalismo servirebbe a all’Italia e all’Europa per affrontare meglio i problemi di oggi, che invece vengono acuiti e resi irrisolvibili dai sovranismi e dai nazionalismi che stanno prendendo piede. Devo dire che non mi pare un dibattito astratto o inutile. Ci pensavo riflettendo sui tanti servizi televisivi e giornalistici che nei giorni scorsi ci hanno riportato al terremoto di dieci anni fa in Abruzzo e abbiamo visto le immagini di città e paesi ancora da ricostruire. L’Aquila in particolare. E ti viene da chiedere come sia possibile nonostante gli impegni solenni più volte dichiarati dai diversi Governi con l’impegno diretto, in prima persona, dello Stato.
Allora a me torna in mente che un terremoto forte e distruttivo ci fu anche nel 1997 e colpì l’Umbria e le Marche. Quello che distrusse anche una parte della Basilica di Assisi. Non ricordo che su quella vicenda ci siano stati gli stessi ritardi, con gli inevitabili strascichi polemici, che abbiamo visto negli eventi sismici dell’Abruzzo prima e su quelli più recenti nel Lazio, in Umbria e nelle Marche. Forse una qualche riflessione andrebbe fatta sul modello d’intervento che la il Governo e la Protezione civile hanno utilizzato nei diversi casi. Nel 1997 il responsabile della PC era il professor Franco Barberi che utilizzò lo stesso meccanismo che avevamo sviluppato per la catastrofe alluvionale dell’Alta Versilia, basato sull’affidamento alla Regione della responsabilità della ricostruzione in un rapporto molto stretto con gli Enti Locali e con i comitati dei cittadini e delle imprese colpiti dalla calamità. Una logica federalista, si disse allora. Era una novità che responsabilizzava il territorio e consentiva più velocità e controllo sugli interventi. Poi, alla PC arrivò Bertolaso e con lui il ritorno ad una logica di forte centralizzazione delle scelte e degli interventi. Allo Stato come riferimento centrale, quasi assoluto. Ecco, credo che quando vediamo quelle immagini ingiustificabili sui ritardi, con le giuste recriminazioni di tanti cittadini, qualche ragionamento sul pessimo funzionamento del centralismo statale andrebbe fatto.
Ovviamente questo riguarda la ricostruzione e non il primo intervento di emergenza della Protezione civile e dello Stato, che resta fondamentale e sul quale il sistema italiano ha raggiunto un alto livello di efficienza.
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