Scusate l'assenza di questi giorni ma l'avvio della nuova esperienza a a Roma ha comportato un po' di problemi, anche logistici, che spero di risolvere presto.
Ho letto i commenti nel blog e i condivido sia per quanto riguarda la necessità di fare una analisi seria sia sul voto perchè non bastano le sole lenti degli schemi politici per capire.
Dal voto nasce un'Italia che preoccupa non per la voglia di cambiamento (che c'è stata e forte per quanto riguarda il giudizio sul governo Prodi) ma per la “paura” del cambiamento, affidando interamente al centrodestra la rappresentanza della conservazione dei corporativismi e degli egoismi sociali e territoriali. Ovviamente questa lettura negativa non giustifica o attenua in alcun modo la pesantezza della sconfitta. Semmai segnala l'esigenza di scavare più in profondità sugli assetti e gli interessi materiali così come sulle culture che oggi incidono nei grandi orientamenti di massa.
Quindi è bene iniziare a discutere anche a porsi il problema, come dice Paola, di dare continuità alle iniziative nel territorio al di fuori dei momenti elettorali.
E' il tema della strutturazione e del radicamento del Partito Democratico.
Intanto è a disposizione questo blog per scambiarsi le opinioni e nei prossimi giorni proveremo a riorganizzare il sito per renderlo più aderente e costruttivo con la nuova fase del mio impegno politico e parlamentare
3 Commenti
Nei miei tentativi di trovare una spiegazione all’esito elettorale ( cui evidentemente non riesco a rassegnarmi) e aspettando momenti di confronto più ampi e più ricchi di contributi, ho letto alcuni documenti di psicologia politica relativi al comportamento di voto, di cui vorrei riportare gli aspetti, a mio avviso, più interessanti.
Le analisi condotte in questo ambito rilevano che i comportamenti più ponderati e razionali, che alimentavano l’espressione delle preferenze in passato, oggi appaiono sostituiti da scorciatoie di pensiero più approssimative( probabilmente una risposta naturale al crescente e talvolta confuso numero di informazioni, spesso contrastanti, trasmesse dai mass media ). Il comportamento di voto di oggi appare come un processo di scelta sempre più determinato dalle caratteristiche individuali dei candidati, aspetti che giocano un ruolo più importante di quelli che in passato avevano un peso maggiore, quali le ideologie, le tradizioni, i valori e gli interessi delle classi sociali, delle famiglie e dei singoli elettori.
Pertanto, accade che, per far fronte alla difficoltà crescente nel comprendere i programmi politici e alle incertezze rispetto alle promesse dei partiti opposti, vengano messi in atto comportamenti più intuitivi, guidati più spesso da impressioni emotive come simpatia e fiducia o, ancor peggio, dal desiderio di allontanare personaggi che suscitano, più o meno spontaneamente, antipatia, incertezze sul futuro e timori.
Pertanto, dalla televisione ai giornali, viene giocata una campagna elettorale sempre più basata sulla possibilità di accattivarsi simpatie, di affascinare il popolo, di apparire più simili e vicini agli elettori o quantomeno alla loro immagine ideale. E l’elettorato così trascura altre dimensioni della personalità ben più importanti per il governo del Paese.
In altri settori dell’elettorato il voto viene guidato dalle cosiddette “attese di vantaggi e svantaggi”e quindi è dato ai rappresentanti politici che si ritiene possano produrre i cambiamenti sociali desiderati che risultano essere principalmente la crescita della democrazia, della giustizia sociale, dell’equità fiscale, del lavoro e della stabilità economica.
Un altro fattore che influenza l’espressione del voto è la “propensione a non rischiare” che risponde ad una tendenza conservativa degli elettori che, rassicurati dalla conoscenza di alcuni punti certi, sono poco disponibili a mettere a rischio lo status quo e rallentano in tal modo il ricambio dei rappresentanti politici.
Non va poi dimenticata la tendenza degli elettori a ricordare meglio eventi accaduti o narrati di recente su cui viene consolidata la propria scelta di voto, malgrado i complessi intrecci della storia delle forze politiche in campo.
Paola
Ho l’impressione che non sia ancora emersa una valutazione matura dei risultati elettorali. Probabilmente il doppio schiaffo che abbiamo preso tra le politiche e le amministrative con la sconfitta per il Comune di Roma ha influito non poco sulla nostra capacità di analisi. Nel 2001, dopo due settimane dalla sconfitta alle politiche, il centrosinistra vinse in tutte le città più importanti, Torino, Roma, Napoli, mantenendo viva la speranza del suo popolo. Oggi questo non è successo e la sconfitta sembra più profonda.
Passando ai numeri, occorre ammettere che a dispetto dei sondaggi citati in campagna elettorale il PD non è riuscito a sfondare nell’elettorato italiano. Rispetto al risultato della lista unitaria del 2006 c’è stato un incremento di 2 punti percentuali, una crescita troppo debole per una forza che vuole candidarsi autonomamente alla guida del paese. Sul tema delle alleanze si pone dunque un problema di realismo politico, ferma restando la scelta di non promuovere coalizioni talmente composite da rendere impossibile l’azione di governo. Probabilmente sarebbe utile auspicare un’evoluzione positiva delle forze riunite nella Sinistra Arcobaleno o almeno di una parte di esse. In questa prospettiva lasciano intravedere una possibilità le dichiarazioni del Presidente della Regione Puglia Vendola sulla necessità di promuovere un approccio più coerente con le questioni poste dalla sfida del governare.
Un altro punto su cui riflettere è il capitolo sicurezza, un problema molto sentito e non casualmente enfatizzato dai mass media. Il pugno duro è la risposta giusta per il PD? Forse serve una soluzione più articolata, che unisca il valore della legalità al’importanza della coesione sociale e al recupero, anche culturale, delle zone degradate delle nostre città.
Ora ci aspettano 5 anni di opposizione, da utilizzare per completare la costruzione del PD, investendo sulla definizione della sua identità culturale e programmatica, sul radicamento territoriale e sulla promozione di una classe dirigente aperta, che sappia lasciarsi alle spalle le pratiche del passato. In concreto serve meno tatticismo fine a se stesso e più contenuti, meno contrasti fra correnti e più attenzione verso i bisogni della società italiana, con l’obiettivo di costruire un progetto organico di governo intorno al quale attirare un ampio quadro di consenso.
Martino Alderigi
Si, ci aspettano 5 anni… ma sono giusti giusti per formare la nuova classe dirigente.
Prendiamo ventenni-trentenni e per 5 anni aiutiamoli a crescere, formiamoli, prepariamoli a capire, ad ascoltare, a governare!
Io sono disponibile a offrire quello che so, la mia esperienza, le mie competenze di 20 anni di backoffice nella PA locale e centrale e a trasmetterle a chi, in una sorta di aula (virtuale o reale lascio scegliere a voi) vorrà imparare.
Flavia