Ecco che “l’accordone”, al primo scoglio, è saltato. E non era uno degli scogli considerati determinanti per la caratterizzazione e l’equilibrio della legge elettorale, come la questione del voto disgiunto o delle preferenze. Al primo voto segreto è emerso il profondo malessere che attraversa una parte rilevate dei parlamentari della maggioranza. Di cosa trattava l’emendamento? Puntava a rendere il sistema elettorale uguale in tutta Italia, superando la particolarità attuale che agisce in Trentino e in Alto Adige con un sistema di maggiore tutela nella rappresentanza per le minoranze di lingua tedesca. Cosa non gradita al PD che al Senato può contare sull’appoggio di un nutrito gruppo di senatori altoatesini, mentre il M5S, che in commissione non l’aveva sostenuto, in aula ha votato a favore dell’emendamento. Ed è qui che è scoppiato lo scontro fra il PD e i grillini (definiti traditori), e quindi il PD ne ha tratto la conclusione che non ci sono più le condizioni per far andare avanti la legge. Ora è vero che i Cinque Stelle non hanno brillato in coerenza, ma è altrettanto certo che i loro voti non bastavano per arrivare all’approvazione dell’emendamento. Ci sono stati almeno una sessantina di “franchi tiratori” nel PD o, in parte, nella Lega. Tutto questo getta una luce opaca sulla vicenda, sospetta, non limitabile al mal di pancia di una parte dei deputati, perché l’immediata risposta di far saltare il tavolo è apparsa a tutti come una reazione assai sproporzionata. Vedremo cosa succede la prossima settimana.
Tuttavia l’esigenza di fare una legge elettorale che ripristini un equilibrio vero e serio fra rappresentanza e governabilità resta primaria. In un quadro di crescente sfiducia e disaffezione dei cittadini verso le istituzioni, è essenziale restituire a loro un reale potere di scelta nei loro rappresentanti. Questa esigenza contrasta decisamente con le spinte ad accelerare la scadenza elettorale e non è responsabile esporre il Paese ai rischi di instabilità presenti in quadro politico incerto e confuso. In fondo il fallimento della operazione politica tentata con il patto fra Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini, è dovuto proprio all’idea di subordinare il lavoro per la definizione di una buona legge elettorale alla scelta di andare alle elezioni a settembre, o comunque prima della legge di stabilità. Si tratta a di un compromesso, un patto di potere, che non poteva reggere di fronte ad un reale confronto di merito.
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