È curioso constatare come la condizione di dover passare intere giornate in casa ti porti a seguire comportamenti un po’ diversi da quelli che ti immaginavi o ti auspicavi nella situazione precedente al coronavirus. Prima mancava il tempo -o perlomeno ne avevi la sensazione- per fare tutte le cose che avevi in testa: leggere, stare in rete, scrivere, mettere a posto in casa, etc, etc…, e te ne rammaricavi. Adesso che sei “costretto” a stare a casa tutto si svolge molto più lentamente e anche l’aspettativa a fare diverse cose si fa meno pressante. Lo dico innanzitutto per me stesso: sono passato da una certa preoccupazione per tenere vivo il blog sul mio sito, cercando gli spazi per scrivere almeno un paio di interventi a settimana, alla fatica di questi giorni nel mettermi davanti alla tastiera. Eppure se c’è una cosa che non manca è il tempo a disposizione. Chissà, forse è proprio il contesto nuovo e imprevisto che spinge a riconsiderare le proprie priorità è il proprio comportamento. Non intendo dire che tutto ciò porti all’inerzia, all’ozio o alla noia; anzi per quanto mi riguarda l’interesse alla lettura e alla musica, ma anche a riordinare materiali accumulati da tempo, è notevolmente aumentato. Ma tutto con più calma, senza fretta o affanno. Non so se una simile percezione è anche di altri, se è più o meno diffusa, e se questa abbia una qualche relazione con il cambiamento di abitudini che ci sta imponendo la lotta alla pandemia. Tuttavia mi pare che una volta superata questa situazione, speriamo presto, dovremo fare i conti con l’esigenza di imporre un mutamento sostanziale al modello di sviluppo e di crescita conosciuto fino ad oggi.
Sicuramente non ritorneremo semplicemente al punto precedente la crisi del coronavirus. Il quadro economico e sociale è già modificato in profondità e, come dicono molti analisti, dovremo “ricostruire”. Ma è la direzione di questa ricostruzione che va orientata e governata, e qui ritorna il conflitto fra un’idea di sviluppo dominata dalla finanza e dalle logiche capitalistiche e quella di un processo che metta al primo posto politiche di tutela dell’ecosistema e di giustizia sociale. Ecco la domanda: come ne usciremo? L’auspicio è che le vicende che viviamo in questi giorni, e che vivremo ancora per qualche settimana, facciano prevalere nella testa della grande maggioranza delle persone la coscienza che c’è un bene comune da salvaguardare a tutti i costi che si chiama salute e ambiente; ed è un bene comune che non si difende con i confini e le frontiere ma con una nuova dimensione del governo dei problemi, democratica e sovranazionale.
Tra i libri che sto leggendo in queste ore c’è “Una vita”, edito da Treccani e dedicato a Alfredo Reichlin. Di fatto una biografia culturale che mette in rilievo l’importanza del pensiero e di una cultura politica in grado di vedere e interpretare i problemi della società e i bisogni degli strati sociali più deboli. Una cultura che oggi purtroppo non c’è, manca, distrutta in gran parte della personalizzazione della politica e non se ne vedono in giro tracce significative. Anche questa fa certamente parte delle cose da ricostruire. Ma è un’impresa assai difficile se a sinistra continuiamo a ragionare e praticare la politica e la concezione dei partiti, come quella degli ultimi vent’anni. In molti riconoscono che “ci vuole qualcosa di nuovo”, una costituente o qualcosa di simile, ma eludono il problema che per farlo ci vuole rinnovamento anche negli interpreti di questa novità. La sfida più importante per la sinistra è quella di far avanzare un gruppo dirigente nuovo, più giovane e in grado di stare dentro le domande e le contraddizioni della società attuale, superando le logiche ristrette di piccoli gruppi o partitini insieme a quelle del richiamo all’unità fittizia, astratta o distante dagli obbiettivi che si vogliono perseguire.
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