I risultati delle elezioni tedesche hanno purtroppo confermato i peggiori timori della vigilia. La Merkel ha vinto di nuovo ma subendo un pesante arretramento, e anche la sinistra socialdemocratica (SPD) ha registrato un risultato molto negativo. La novità è arrivata dal successo della lista di estrema destra, costruito sulla chiusura nazionalista e sull’odio verso gli immigrati. Nei commenti al risultato viene messo in cima il fallimento del Governo fondato sulla grande coalizione. Ciò è vero, ma il voto delle periferie mette in evidenza, come già avvenuto in Inghilterra e in Francia, un diffuso malessere sociale, un forte sentimento di esclusione e di protesta, che diventa facilmente preda del populismo di destra. E questo avviene anche perché manca una sinistra in grado di interpretare e raccogliere quel malessere e tradurlo in una proposta di cambiamento politico e sociale. È questo il problema centrale, e riguarda anche noi, qui, in Italia. Anche da noi si è creata un’area molto vasta di malessere che interessa l’elettorato di centrosinistra e che si sta palesando nella scelta del non voto. Lo abbiamo visto molto bene nelle elezioni amministrative degli ultimi tre anni. La tendenza è cambiata, con un forte balzo nell’affluenza elettorale nel referendum del 4 dicembre, solo quando si voleva esprimere un voto contro la riforma e soprattutto contro chi l’aveva proposta. E si tratta di qualche milione di elettori.
Da qui il tema se esistono oggi le condizioni politiche per una vittoria del centrosinistra senza il recupero di almeno una gran parte di quegli elettori. A mio parere no. Ho recentemente richiamato i dati concreti, i numeri, sul voto amministrativo dei Comuni più importanti della Toscana nei quali si è votato a giugno. Se la tendenza resta quella è difficile immaginare un centrosinistra vincente alle politiche e alle Comunali del 2018. Il punto è che gran parte di coloro che hanno scelto di non votare non sono solo delusi dal PD, ma non vogliono assolutamente sentir parlare di Renzi e di un centrosinistra a trazione PD. Questa è la questione da risolvere: in che modo, con quale proposta politica è possibile recuperare al voto quella vasta area di persone demotivate e sfiduciate ? Basta il richiamo al fronte comune contro i barbari del populismo rappresentati dal M5S e da Salvini? Bisogna fare argine ed essere uniti, si dice, sotto le insegne del PD. Ma la storia di questi anni dimostra il contrario. Il populismo da noi è cresciuto in presenza di un Governo dominato da Renzi e dal PD. Non c’è stato nessun argine, semmai con l’attacco alla politica e ai politici, obbiettivo indicato anche nella riforma costituzionale proposta – e fortunatamente bocciata- si è legittimato e rafforzato il populismo grillino. Il vero problema sta nei contenuti reali delle politiche che si portano avanti. E quelle che abbiamo visto in questi anni hanno di fatto assecondato uno sviluppo della crisi tutto in negativo per le classi e i ceti popolari. Sono aumentate le iniquità e le diseguaglianze. Si sono aiutate le imprese, ma con politiche che non hanno rafforzato il tessuto produttivo del Paese e allo stesso tempo hanno lasciato intatta e forse peggiorata la precarietà del lavoro. Ecco, se non si parte da qui, dalla necessità di una svolta profonda nelle politiche economiche e sociali, non è assolutamente immaginabile di recuperare i consensi dei delusi. Ed è solo il primo passo. Lo dico in ragione del fatto che anche per chi ha scelto di uscire dal PD con l’idea di dare una risposta, uno sbocco, a quel malessere le cose non sono affatto facili. Per recuperare fiducia e credibilità non serve agitare lo spauracchio del populismo o generici discorsi sulle divisioni che lo favoriscono. Su questo piano il discorso che fanno molti esponenti della stampa e del PD è strumentale, miope e illusorio. Il centrosinistra, in coalizione o separato, con il maggioritario o con il proporzionale, non potrà comunque vincere se non riconquista il voto di una parte del popolo che ha perso. Evitare di fare i conti con questo dato e pensare di risolvere tutto con il tatticismo e la propaganda porta solo alla sconfitta. L’appello al voto utile in questo contesto, senza una svolta politica, rischia di aumentare il disimpegno anziché ridurlo. Allora sarebbe meglio ragionare seriamente sul fatto che la presenza di un nuovo soggetto politico di sinistra, capace di motivare e unire quell’area, è forse la speranza più concreta che oggi può far recuperare voglia e voti tra i tanti fuoriusciti dall’impegno e dal consenso negli ultimi anni. E se questo tentativo riesce allora sì che le ragioni della sinistra, in termini di valori, contenuti e azione, ritrovano in Parlamento e nella società le condizioni per farsi valere. Altrimenti c’è il centrismo di Renzi e l’accordo con Berlusconi.
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