Oggi ho finito di liberare l’ufficio di Questore a Palazzo Montecitorio. Da venerdì inizia formalmente la diciottesima legislatura e dopo l’elezione del Presidente della Camera e dei vice verrà eletto il nuovo Collegio dei Questori. Spero che il lavoro di contenimento e di riqualificazione della spesa che abbiamo fatto in questa legislatura venga salvaguardato. E soprattutto che si mantenga sul binario di assoluta trasparenza sul quale è stato avviato.
Quanto alla situazione politica il quadro è tutt’ora molto confuso. Sulla carta nessuno ha i numeri per dare vita ad una maggioranza di Governo, a meno che non si affermi l’idea di un accordo fra Salvini e Di Maio per cambiare la legge elettorale e tornare al voto in autunno. Ma, a regola, anche questa ipotesi deve passare da un voto di fiducia ad una formazione di Governo guidata da un Presidente del Consiglio. Per cui l’ipotesi appare alquanto difficile. E inoltre l’uso che viene fatto di toni molto propagandistici su temi “appetibili” dal lato demagogico, come quello dei vitalizi, fanno pensare più ad una nuova campagna elettorale che non alla ricerca di accordi per dare una soluzione al problema della governabilità del Paese.
Nel complesso però manca una seria riflessione sul funzionamento di questa legge elettorale, cervellotica e demenziale dal lato politico, in particolare sullo stravolgimento del principio della rappresentanza, se per questo si intende la reale possibilità di scelta dei parlamentari da parte degli elettori. In base a queste norme elettorali si ritrovano in Parlamento candidati totalmente sconosciuti all’elettorato, oltre che privi di un qualsivoglia rapporto con il territorio. E anche sul piano degli effetti del voto del 4 marzo la discussione appare inadeguata. Soprattutto a sinistra e nell’area del centrosinistra. Quello che è avvenuto ha una portata enorme: in pratica ha azzerato il sistema politico precedente. In tal senso ha ragione chi interpreta e schematizza la votazione dicendo che si è trattato di un voto contro il vecchio sistema e tutti quelli che in qualche modo ne facevano parte, o venivano percepiti come “compromessi” con quella fase. Chi ha votato M5S o Lega lo ha fatto con la logica del cambiamento all’insegna del “vaffa”, dell'”ora basta, tutti a casa”, oppure del “proviamo anche loro”. Però questo è avvenuto con numeri enormi. Ieri, con un bell’articolo sul Fatto (e in allegato), il deputato di LeU, Federico Fornaro, ha riassunto il quadro dei movimenti assoluti sul piano elettorale, e ciò che ne viene fuori è un contesto di profondo e radicale cambiamento nei comportamenti degli elettori. Praticamente le “appartenenze” ad un campo politico che esistevano fino a pochi anni fa non ci sono più, o sono ridotte a quote marginali.
Tutto questo impone non solo una analisi del voto con conseguente riflessione, ma probabilmente richiede anche il recupero di una capacità di studio e di approfondimento sul piano economico, sociale e culturale, dei sommovimenti che attraversano la società italiana. Compresi i riflessi che hanno una proiezione su scala internazionale. Mi auguro che il percorso di rilancio del progetto di Liberi e Uguali annunciato dal coordinamento nazionale faccia i conti con questo fondamentale problema.
Per quanto riguarda il confronto sulle prossime elezioni comunali a Pisa e sui possibili candidati ho espresso le mie opinioni nell’intervista al Tirreno e non aggiungo nulla. Vedremo quali proposte emergeranno dal PD. Ma intanto ho letto che alcuni amici del PD, come Michele Passarelli Lio, chiedono a LeU di superare i veti su Serfogli e avanzare invece una propria proposta di candidatura. Come se LeU fosse una componente dell’attuale maggioranza come le liste civiche. Ma è qui che si fa una forzatura inaccettabile, perché noi non facciamo parte della coalizione di maggioranza e non abbiamo, ovviamente, titolo a imporre un bel niente al PD. È evidente che per le liste civiche è naturale il discorso sulla continuità e l’accordo sui posti in giunta. Per noi no. Non cerchiamo posti ma poniamo l’esigenza di una proposta innovativa per far fronte allo “scontento diffuso” che abbiamo visto all’opera nelle elezioni del 4 marzo e che costituisce il principale carburante elettorale per la destra a traino leghista. Se questa valutazione non è condivisa pazienza. È del tutto legittimo che il PD si prenda la responsabilità di indicare un candidato, ma non può pretendere di imporlo anche a chi non fa parte della coalizione di centrosinistra attuale o di scaricare le responsabilità su altri.
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