Un tema molto frequentato in questi giorni da esponenti del PD e anche da alcuni “commentatori interessati” è quello che, se non si va dietro al PD, il centrosinistra perde e si fa il gioco del centrodestra. Qualcuno con toni un po’ più duri verso Mdp e con una certa arroganza (fuori dal PD c’è solo Grillo o Salvini…) e altri un po’ più morbidi, ma sulla stessa linea (senza l’accordo con Mdp il centrosinistra perde!). Io penso che in questo modo di ragionare ci sia un grande abbaglio, perché se le cose restano come sono il centrosinistra rischia di perdere comunque. Forse sarebbe bene che coloro che sono davvero preoccupati del destino del centrosinistra dedicassero un po’ del loro tempo ad una analisi più attenta dei comportamenti elettorali del bacino del centrosinistra negli ultimi anni. I numeri ci dicono che gli elettori che hanno abbandonato il PD, o comunque che hanno lasciato l’alveo del centrosinistra da esso guidato, dal 2014 in poi sono tantissimi. Qualcuno lo aveva già fatto nelle politiche del 2013. La quota maggiore di questi abbandoni è finita nel non voto. Di un non voto che si presenta sempre più come una scelta politica e non una semplice “disaffezione”. Ovvero se l’offerta politica non convince non si sceglie il male minore ma si disertano le urne. Credo che questo sia accaduto e stia accadendo dentro il campo elettorale che era del centrosinistra. È l’effetto della delusione in un contesto di crisi dei partiti e di crescita eccessiva della personalizzazione della politica, fatta sempre più di immagine, di tattiche e di contingenze immediate. Se ragioniamo e confrontiamo un po’ di numeri in alcuni dei comuni dove si è votato due mesi fa e dove il centrosinistra si presentava in coalizione, questo problema lo vediamo meglio.
Prendiamo ad esempio Pistoia, comune rosso che si immaginava inattaccabile. Alle comunali di quest’anno i votanti sono stati 40.700 è solo pochi mesi fa, al referendum del 4 dicembre, erano 52.122 (-11.422). Il PD ha preso 8.546 voti, mentre alle europee del 2014 ne aveva presi 25.991 (-17.445). Certo lo hanno penalizzato sia la divisione, sia le liste civiche di centrosinistra, ma ciò non basta per eludere alcune importanti domande. Quali sono i motivi di una tale arretramento in voti assoluti in soli tre anni? E’ colpa degli “scissionisti”, che non avevano nemmeno la lista alle comunali? E perché in pochi mesi quella grande differenza di votanti fra il referendum e le elezioni comunali? Cosa ha mosso tanti elettori a presentarsi ai seggi a dicembre e a disertarli a giugno? C’entra qualcosa la politica che il PD ha portato avanti in questi anni?
Altro esempio: Lucca, dove pure si è vinto per il “rotto della cuffia”, come si dice, i votanti alle comunali sono stati 38.408 e al referendum 48.731 (-10.323). Il PD ha preso 7.318 voti contro i 19.549 del 2014 (-12.231). Anche qui, certo, le liste civiche, ma la coalizione era il centrosinistra e tuttavia le domande sono le stesse.
E poi Carrara, dove il centrosinistra era spaccato e le divisioni nel PD e nella sinistra hanno portato a due candidati sindaci, con vittoria al ballottaggio del candidato grillino. Qui i votanti sono stati 31.707 a fronte dei 34.085 del 4 dicembre. Un differenziale inferiore agli altri evidentemente motivato dalla maggiore competizione a sinistra. Il PD ha preso 3.888 voti contro i 12.988 delle europee del 2014 (- 9.100).
Mi sembra chiaro quindi che in una grande parte dell’elettorato del centrosinistra ci sia un distacco, per non dire un rifiuto, verso proposte politiche che vedano al centro il PD di Renzi. E se è così riproporre il centrosinistra con la stessa logica del passato è perdente, non motiva e non recupera nell’area della delusione. Anzi, Ia straordinaria partecipazione al voto referendario ha semmai segnalato che in quell’area di delusi del centrosinistra non c’è disaffezione ma semmai un netto dissenso politico dal partito di Renzi. Ecco, qui mi sembra sia il nocciolo del problema: quale è la via per recuperare quei voti e quella partecipazione. E la sfida attivata con la nascita di Articolo UNO-Mdp ha questo obbiettivo: quello di mettere in campo una nuova e credibile offerta politica di sinistra, ampia, inclusiva, unificante, senza pretese di parte o di sigle, come recitavano le parole d’ordine della manifestazione del 1 luglio: “Nessuno escluso” e “Insieme”. Un’offerta che non può che essere alternativa al PD, pena la sua assenza di credibilità.
Questo, a mio parere, è anche il punto su cui Giuliano Pisapia finora ha tentennato. Lo ha affermato ma poi ha riproposto l’istinto dell’Ulivo, del vecchio centrosinistra e quindi del grande partito al centro della coalizione, senza fare i conti con il fatto che le condizioni politiche oggi sono profondamente diverse e, paradossalmente, anche per chi si augura un ritorno a quelle suggestioni, serve che a sinistra si ricostruisca un riferimento certo, visibile e discontinuo dai Governi degli ultimi anni, con politiche chiare e radicali sul terreno della lotta alle diseguaglianze. Altrimenti i voti per un nuovo centrosinistra non ritornano.
Pensare dunque di risolvere il problema polemizzando con Articolo UNO-Mdp è pura e irresponsabile miopia.
(Nella foto l’iniziativa con Pierluigi Bersani a Eliopoli Summer 2017 a Calambrone)
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