È singolare che dopo l’approvazione della legge elettorale, con forzature istituzionali mai viste prima, prescindendo dai reali contenuti di quelle norme e con un atteggiamento di netta chiusura verso le richieste della sinistra, da parte del PD si rivolga un appello a Articolo UNO-Mdp per la partecipazione ad una grande coalizione. Senza confini o veti, dice Renzi, al centro e a sinistra. E per centro intende chiaramente coloro che hanno sostenuto la riforma come Alfano e Verdini. Anzi, quest’ultimo si dice sia il regista principale dell’operazione. E verso la sinistra si usa l’argomento che questa coalizione è necessaria per non far vincere la destra. Qui siamo al colmo dell’ipocrisia. Viene agitato il pericolo della destra proprio da chi ha fatto passare senza discussione una legge elettorale concordata con Berlusconi e decisamente favorevole alla destra. L’obbiettivo evidente e nemmeno tanto nascosto è stato quello di penalizzare il M5S, e anche la sinistra, attraverso la sovrapposizione in un’unica scheda e in un solo voto della scelta del candidato nell’uninominale e della lista plurinominale. Allora la domanda vera è perché il PD ha voluto un meccanismo elettorale che favorisce smaccatamente la destra? Perché ha rifiutato la proposta di fare alcune modifiche, come chiedeva anche la minoranza interna, che avrebbero permesso la costruzione di accordi nei collegi per sconfiggere i candidati della destra? Bastava mettere il voto disgiunto come nelle elezioni comunali, oppure il doppio voto con due schede distinte fra la parte maggioritaria-uninominale e quella proporzionale-plurinominale. In realtà hanno voluto mettere un cappio al collo alla sinistra che vuole mantenere una sua autonomia. E allo stesso tempo hanno deciso di scommettere sulle larghe intese con Berlusconi, visto che tutte le simulazioni sugli esiti delle elezioni con questa legge segnalano l’impossibilità numerica per una maggioranza di centrosinistra. Sempre che il centrosinistra classico, ulivista, esista ancora. Proprio stamani sui giornali campeggiava l’abbraccio fra Romano Prodi e Vincenzo Visco, appena riconfermato alla guida di Bankitalia con l’ostracismo dei renziani. Tuttavia stupisce che anche la minoranza orlandiana del PD si accodi all’ appello all’unità per a combattere la destra senza alcuna riflessione sul problema principale, che è quello di una grande fetta dell’elettorato del PD che per delusione o dissenso ha deciso di non votare più. Ma non sempre. Infatti il 4 dicembre si è presentata ai seggi per il referendum contro il progetto di riforma costituzionale voluto dal PD. C’è quindi molto da dubitare sul fatto che basti un appello contro la destra a far cambiare opinione a chi diffida del PD e vuole invece ritrovare una sinistra credibile. Per questo la scelta di negare il voto differenziato fra maggioritario e proporzionale è scellerata, perché depotenzia la possibilità di trovare intese positive salvaguardando l’identità di ciascun soggetto politico. E il fatto che nel PD non ci sia stata una vera discussione su questo punto la dice lunga sulle aspettative di cambiamento che ogni tanto si sentono ventilare.
In questo contesto le parole e la decisione assunta dal Presidente del Senato, Pietro Grasso, sono un atto pesante per chiarezza e invito a fare i conti con la realtà. La critica sulla legge elettorale, sia il metodo che sul merito, e le considerazioni sulla “distanza umana e politica dal PD”, dovrebbero indurre molti a riflettere.
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