Alla fine, dopo non poche difficoltà determinate da uno scontro politico nella maggioranza, il Governo è riuscito a varare una manovra consistente per sollecitare la ripresa del Paese, pesantemente colpito dal coronavirus e dal blocco conseguente di gran parte delle attività economiche e produttive. Un decreto che interviene a sostegno delle aziende, dei lavoratori dipendenti e autonomi, così come dei settori sociali in maggiore difficoltà per gli effetti della crisi, attraverso un insieme di provvedimenti che mobilitano 55 miliardi di risorse pubbliche. Ovviamente l’accordo che è stato trovato in Consiglio dei Ministri contiene anche limiti, sfasature e squilibri che potevano essere risolti meglio se nella maggioranza si fossero messi da parte i protagonismi e i calcoli personalistici dei vari Renzi, Di Maio, e qualcun altro, che mal sopportano l’idea che a guidare il Governo non ci siano loro stessi. Tuttavia ad una manovra corposa ci si è arrivati ed che un fatto importante.
Ora ci saranno quelli che dicono che “non basta”, che “ci vuole di più “, anche tra quelli che nella crisi non hanno sofferto alcunché, tranne il fatto di dover rispettare le regole della quarantena. Ma ciò non può svilire o rimuovere il valore dell’operazione varata adesso dal Governo, alla quale dovranno seguire necessariamente nuovi interventi sostenuti dai finanziamenti europei, per i quali c’è da augurarsi una impostazione politica innovativa, volta a incidere sul cambiamento di un modello di sviluppo che in questi anni ha sviluppato le diseguaglianze e causato le crisi che hanno scosso il mondo, sul piano finanziario e su quello della pandemia. È una sfida che riguarda l’Europa e tutto il pianeta. Vedo qui, semmai, il limite e l’inadeguatezza dell’azione svolta finora dal Governo; nell’assenza di un ragionamento sulle prospettive, sul come riorganizzare il dopo coronavirus, su quale visione economica e sociale e con quale tensione culturale ricostruire la società. Però mentre mi pongo questo problema non posso ignorare quanto è avvenuto nelle ultime settimane – quelle dell’emergenza – nella vicenda politica italiana, soprattutto dal lato del racconto e dell’intervento del sistema mediatico, oltre che dalla critica dell’opposizione e di alcune parti della maggioranza.
Abbiamo assistito ad un attacco concentrico diretto a mettere in discussione la figura del Presidente del Consiglio Conte, con l’esplicito obbiettivo di provare a sostituirlo. Un’operazione che finora non è riuscita perché non esiste una maggioranza parlamentare diversa da quella attuale. Ma il furore con cui è stata tentata colpisce, proprio perché tra i manovratori si potevano, e si possono, individuare i “padroni del vapore” nell’ambito dei grandi organi di informazione, sia nei giornali che nelle televisioni. Ed è lecito pensare che in tutto ciò sia presente anche una certa sintonia con i poteri economici e finanziari più influenti del Paese. Ora, io che non nutro una particolare stima per Giuseppe Conte, mi riesce difficile considerarlo uno statista e ancor meno un politico capace e illuminato, mi sono posto la domanda sul perché di questo attacco al premier e al Governo senza peraltro prefigurare una alternativa in termini di maggioranza politica. Ecco che come risposta mi trovo a pensare a due ipotesi.
La prima è costruita sull’idea che una grande parte dei poteri e degli interessi economici propri, ma anche del futuro del Paese, mossa dalla preoccupazione che l’Italia, presa nella morsa della crisi, non sia in grado di uscirne se non si dota di un assetto politico di governo stabile e largamente rappresentativo, perché il contesto attuale fatto di litigiosità e di continue e insuperabili contrapposizioni non garantisce nessuna effettiva governabilità. Una specie di unità nazionale da realizzare tagliando o neutralizzando le componenti politiche più estreme, a destra come a sinistra. Per questo disegno è necessario ridimensionare Salvini da un lato e disgregare il M5S facendo leva sulle sue contraddizioni interne, nel quadro di un governo di salute pubblica che metta insieme il grosso delle forze politiche. E questa sarebbe l’ipotesi “nobile”, dato che ha come base il proposito di salvare il Paese, ovviamente insieme ai loro propri interessi.
La seconda ipotesi invece è un po’ più “volgare” e concreta: ovvero quella che vogliono avere direttamente nelle mani la possibilità di indirizzare e di gestire le ingenti risorse finanziarie che saranno a disposizione con gli strumenti europei volti alla ricostruzione del dopo covid-19. È evidente il tentativo di usare tutte le risorse disponibili per “tornare alla normalità ” della fase precedente alla crisi. Ecco, di fronte a queste ipotesi è naturale, mi dico, difendere il Governo e preoccuparsi della tenuta del quadro politico.
Ma tuttavia penso che ciò non sia una cosa molto solida se la maggioranza attuale non si pone il problema di fare un salto di qualità sul piano della visione e del progetto da proporre al Paese, e all’Europa, per uscire dalla crisi attraverso un cambiamento reale sul piano degli equilibri economici e sociali. Del resto il coronavirus ha messo a nudo le storture gravi e pericolose, non solo sul piano della giustizia sociale, del concetto “meno Stato e più mercato”, a partire dalla tutela della salute, e come il tema dei beni pubblici, della sostenibilità ambientale e dello stesso ruolo di indirizzo del pubblico sia tornato al centro della scena. È su questo, penso, che si debba concentrare il dibattito e l’iniziativa delle forze progressiste e di sinistra, senza aspettare di fare i conti con gli effetti socialmente molto pesanti che ci troveremo ad affrontare nel prossimo autunno. Il punto è come ci arriveremo: se costretti nella posizione di chi non può fare altro che arginare il malessere sociale oppure, al contrario, nella condizione di fare una battaglia, a partire da quel malessere, per rendere visibile e concreto un progetto di cambiamento alimentato dalle risorse europee e da una seria e equa riforma del sistema fiscale italiano.