Il provvedimento principale in aula alla Camera questa settimana riguarda la legittima difesa, ovvero la revisione del codice civile in funzione di una sorta di licenza a sparare,senza rischi di punibilità, nei casi di intrusione nelle abitazioni. Questo era ed è il senso della campagna promossa dalla Lega e dalla destra nel tentativo di cavalcare gli umori e le percezioni improntati alla paura che hanno preso piede in larga parte dell’opinione pubblica. Una campagna rozza e pericolosa, che incita all’uso delle armi, a farsi giustizia da soli, a mettere in discussione la civiltà giuridica del Paese. Tutta basata su un uso strumentale dei fatti, favorito anche dal sistema mediatico, che enfatizza falsamente il problema, come se nel codice civile non fosse prevista la legittima difesa, che invece c’è con l’articolo 52, rivisto solo pochi anni fa proprio dal centrodestra. Tra l’altro nei casi in cui l’aggredito (la vittima) ha reagito uccidendo o ferendo l’aggressore sono state riconosciute processualmente, in grande misura (oltre il 90%), le ragioni del gesto difensivo. Sostenere che oggi siamo in balia dei delinquenti assassini perché chi reagisce viene comunque sottoposto ad una indagine della magistratura è una cosa aberrante. Tuttavia di fronte alla proposta strumentale della Lega il PD e AP (Alfano) hanno pensato bene di inseguire il centrodestra accettando il terreno delle modifiche dell’articolo 52, ignorando l’ottimo consiglio dato dal professor Tullio Padovani, a suo tempo consultato dalla Commissione Giustizia, che raccomandava di “lasciare in pace l’articolo 52, che è così bello e l’abbiamo digerito con qualche sforzo, e andate a lavorare dove bisogna lavorare, perché l’eccesso e l’errore sulla difesa legittima sono terra di nessuno, è il Far West normativo”. Ma l’idea che sui temi della sicurezza sia necessario mostrare un po’ i muscoli si è fatta strada anche nella maggioranza, ed ecco che ha prodotto delle modifiche normative confuse e dannose, come quella che distingue la gravità del fatto e la legittimità a reagire se questo avviene di giorno o di notte. Modifiche che ovviamente si prestano alla ridicolizzazione della norma e danno carburante alla rozza strumentalizzazione della destra e di Salvini. In proposito consiglio la lettura dell’intervista di Repubblica a Carlo Federico Grosso. Il nostro gruppo di Articolo1-Mdp ha votato contro al provvedimento con la convinzione che la linea di inseguire le peggiori pulsioni che si manifestano nella società, sollecitate dalla paura o dal rancore, sia sbagliata e foriera di gravi danni sul piano della convivenza civile.
Sul piano più strettamente legato alle vicende politiche l’attesa principale era quella di sapere, a distanza di quattro giorni dalle chiusura dei gazebo e delle urne, i risultati finali delle primarie. Non tanto perché potevano esserci dubbi sull’esito, quanto per le ragioni che stavano dentro questo lungo ritardo. Infatti non sono mancati i racconti di episodi assai preoccupanti in alcune zone del Paese. Tuttavia si tratta di aspetti che riguardano il PD e su questi non mi intrattengo. Mentre più interessante è la valutazione politica sulle primarie. Per quanto riguarda la mia valutazione nella sostanza ha confermato alcuni dei motivi di fondo della scelta di lasciare il PD. In particolare il processo di mutazione che si è affermato nel partito rispetto ai progetto originario. Da partito plurale è diventato sempre di più il partito di Renzi, in quanto ha maturato una progressiva identificazione con lui e la sua immagine che all’inizio poteva essere di vincitore (dopo le europee), ma poi è rimasta anche con le ripetute sconfitte politiche (elezioni regionali, comunali e referendum) che hanno segnalato chiaramente la fuga di una parte consistente degli elettori. Questo è stato possibile perché quel processo di identificazione ha cambiato il senso del confronto all’interno del partito, rendendo vano e impossibile il dibattito e la sintesi politica, che comporta quasi sempre una disponibilità alla mediazione. Ecco, il successo di Renzi nel congresso e nelle primarie, che lo ha indubbiamente rafforzato all’interno del PD, deriva da questo processo. Ma fatta questa constatazione bisogna andare a vedere i numeri delle primarie per quelli che sono e cosa dicono. In primo luogo sulla forte caduta della partecipazione rispetto alle primarie precedenti del dicembre 2013. Da 2,8 milioni di partecipanti si è scesi a 1,8. Un milione in meno. Il calo è stato più drastico nelle regioni del Centro Italia, dove si è registrato un processo di caduta vicino al dimezzamento dei votanti. Erano le regioni dove Renzi aveva avuto i maggiori consensi in termini di quantità dei voti. Almeno questo dicono i numeri assoluti, che notoriamente sono più chiari e reali delle percentuali. Vorrà dire qualcosa, tutto questo, sullo stato di salute del PD e soprattutto sullo spazio che si è aperto a sinistra per recuperare consensi ad un reale progetto di centrosinistra?
Poi c’è la valutazione sulla composizione di quella platea, certamente non piccola, di partecipanti alle primarie. Sono uscite in proposito analisi di esperti, e oggi anche dell’Istituto Cattaneo, che meritano attenzione e riflessione. In particolare sull’invecchiamento di quella platea, a significare che le difficoltà di rapporto con le giovani generazioni sono davvero grandi e non nascono oggi, ma è stata una illusione pensare che bastassero la personalizzazione politica e il dinamico giovanilismo di un leader a risolvere il problema. Il punto, come sempre, sono le politiche reali capaci di affrontare i problemi e non i racconti o i bonus a modificare le cose e incidere sugli orientamenti. In una certa misura questo problema esiste anche per Articolo UNO-Mdp e su questo piano, quello del recupero di credibilità della sinistra fra i giovani, si gioca la possibilità di rendere forte il progetto per un nuovo centrosinistra.