Il malessere sociale e le diseguaglianze prodotte dalla crisi sono la ragione del clima pesante che di respira in Europa. In Francia, come abbiamo visto in queste settimane, ha dato vita ad una protesta arrabbiata di piazza, e in Italia, come dice il CENSIS, porta all’incattivimento della società, sempre più rancorosa e portata alla chiusura verso gli stranieri. E anche, purtroppo, verso gli esclusi, quelli che non hanno niente e vivono per strada. Nessuno li vuole vedere. Questo clima, questi sentimenti, sono il carburante del populismo ambiguo e di destra che sta crescendo da noi e in Europa.
Chi lo cavalca molto bene è Matteo Salvini, che da un lato esaspera le paure e i temi della sicurezza e dall’altro manda messaggi, furbi e ingannevoli, volti a interpretare la domanda di maggiore giustizia sociale. Lo ha fatto nella sua marcia su Roma di sabato scorso con la manifestazione in Piazza del Popolo, dichiarando che lui parla a nome di sessanta milioni di italiani. Nella storia della destra italiana non è una cosa del tutto nuova. E forse è per questo che a molti ha dato fastidio il romanzo di Antonio Scurati. Anche l’incontro convocato al Ministero dell’Interno con i rappresentanti delle grandi imprese rientra in quel copione. Ma allo stesso tempo Salvini fa da sponda a Di Maio in un gioco buffo, nel quale i due partiti che compongono la maggioranza si dividono e poi si abbracciano cercando di coprire sia lo spazio di Governo che quello di opposizione. Emblematica la vicenda della TAV. comunque è già evidente che in questo gioco chi vince è Salvini, come dimostrano i sondaggi che indicano chiaramente uno spostamento di consensi dalle fila del M5S a quelle della Lega.
In questo contesto appare sempre più preoccupante la difficoltà delle forze di sinistra a trovare una risposta efficace, visibile, insieme ad una totale assenza di reazione da parte del mondo democratico e progressista italiano. Ciò è in parte comprensibile perché ad aprire la strada alle forze populiste sono state anche le politiche portate avanti dalla sinistra al governo negli ultimi anni, con scelte che hanno colpito e svalorizzano il lavoro, aumentato la precarizzazione e il divario sociale, seguendo piattamente una impostazione economica neoliberista. In un Paese, tra l’altro, che ha da tanto tempo i salari e gli stipendi assai più bassi nel confronto con i principali Paesi europei. Per questo, nella testa di molti, il PD ha cessato di essere visto come un partito di sinistra. E oggi si fatica, in assenza di una seria e radicale presa d’atto di questo fallimento, a scorgere nell’attuale contesa congressuale una soluzione capace di invertire la situazione. Ma purtroppo anche nelle forze e nei movimenti che hanno provato a dare una risposta di sinistra nelle elezioni del 4 marzo, con un risultato indubbiamente al di sotto delle attese, non è maturata finora una scelta e un percorso in grado di indicare almeno un solido punto di partenza di una possibile alternativa.
Si parla di Europa, o d’Italia, in base alle alleanze, agli schieramenti o alle famiglie di riferimento e assai poco in base ai contenuti, alle proposte politiche necessarie per riaprire lo spazio ad un progetto in grado di delineare una alternativa alla destra, fondato sulla rappresentanza dei bisogni e degli interessi dei più deboli, del mondo del lavoro e del futuro delle giovani generazioni. Una alternativa che tenga insieme questione sociale e questione democratica in una idea di Governo delle contraddizioni del mondo attuale, a partire dal nostro continente.
In questo senso ho trovato molto interessante e pienamente condivisibile l’appello promosso da Thomas Piketty, pubblicato su Repubblica di ieri e visibile online. Un manifesto che contiene proposte precise e concrete con cui avanzare una nuova idea di Europa, incardinata sulla democrazia e sulla giustizia sociale. Leggetelo. Proviamo a partire, o ripartire, da lì.