Ieri, dopo un po’ di tempo, sono passato dalla Camera. In “Transatlantico” ho incontrato qualche deputato della passata legislatura, mentre in Aula si teneva la celebrazione delle vittime del terrorismo alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Così ho avuto modo di ascoltare parole di ricordo di Aldo Moro e di Peppino Impastato, e anche il bellissimo intervento di una liceale diciottenne, Francesca Moneta, che detto tra glia applausi dell’Aula, “Stiamo vivendo un momento particolarmente difficile della nostra storia repubblicana. I valori fondanti la nostra convivenza civile paiono essere messi in discussione persino da chi riveste alte responsabilità di governo”. Parole sante.
Invece nei discorsi che attraversano corridoi e piccoli gruppi di deputati, radunati presso la buvette, il tema centrale è quello che riguarda il dopo elezioni. La conflittualità degli ultimi tempi tra la Lega e il M5S, sul caso Siri come su molti altri temi, ha accentuato gli interrogativi sulle prospettive del Governo e della legislatura. Gli interessi e i calcoli politici lasciano aperte diverse possibilità, ma tuttavia c’è un punto che non posso eludere. È quello della reale situazione economica del Paese. Finora fanno finta di non vedere i problemi e mettono tutto sotto il tappeto, ma il nodo viene inevitabilmente al pettine e la demagogia e le promesse elettorali si riveleranno in tutta la loro falsità. Del resto già in una indagine CENSIS di questi giorni mette in evidenza che la percentuale degli italiani che vedono un peggioramento nella situazione economica, e anche nella sicurezza, è notevolmente cresciuta. Ciò significa che le aspettative che avevano dato fiato e consensi al governo gialloverde cominciano a scricchiolare. Qualcosa del genere si può leggere anche nei diversi sondaggi pubblicati stamani dalla stampa. Si ferma la tendenza alla crescita elettorale di Salvini e forse inverte la marcia. Il “capitano”, come lo chiamano osannanti i militanti della Lega, o “il truce”, come lo definisce Il Foglio, conferma un certo affanno nella sua rincorsa quotidiana a riempire gli spazi mediatici. E lo fa cercando argomenti che sollecitino il più possibile gli istinti forcaioli. Del resto questa è la cifra della sua cultura politica. Ora la crociata è sulla cannabis, condotta peraltro con la solita ipocrisia, in cui prima dice che vuole chiudere i negozi che vendono prodotti a base di marijuana e poi che aumenterà i controlli. Per Salvini le soluzioni sono come le sue felpe: si enunciano e si cambiano a seconda delle circostanze e delle convenienze.
Avviene così anche da noi sulla vicenda di Canapisa: i leghisti, la destra e purtroppo anche chi dovrebbe rappresentare le istituzioni locali, sbraitano contro la manifestazione chiedendo agli organi dello Stato che venga proibita, contravvenendo ad un principio costituzionale (la libertà di manifestare e di esprimere le proprie opinioni). E questo perché? Non perché ci sono problemi di ordine pubblico, ma perché loro lo hanno promesso in campagna elettorale! In ciò vi è una arroganza del potere del tutto priva di senso delle istituzioni e di rispetto delle leggi. Persino Salvini ha dovuto ammettere, con una affermazione furba, che non possono proibire ma possono solo “operare per ridurre il danno”. Invece ora insistono, con in testa esponenti che dovrebbero rappresentare le istituzioni e anche l’interesse a salvaguardare la tranquillità dei cittadini, in una iniziativa proibizionista che rischia, questa sì, di creare problemi all’ordine pubblico cittadino. Consiglio vivamente di lasciare lavorare Prefetto e Questore evitando interferenze del tutto inappropriate.
Comunque vedere le immagini di Papa Francesco che incontra la famiglia rom di Casal Bruciato, giustamente tutelata anche dal Sindaco di Roma Virginia Raggi, dopo le aggressioni e le minacce di CasaPound, fa bene al cuore.