Ogni giorno, nel tardo pomeriggio, arrivano i numeri sull’andamento della pandemia in Italia. Tanti i contagiati, tanti i morti, tanti i guariti. E ogni volta si ripresenta quel velo di tristezza che fa pensare alle tante persone che non ci sono più e che nei commenti diventano solo un numero. Oggi quel sentimento di tristezza si è presentato con impatto molto forte. La notizia della morte di Luis Sepúlveda è come un pugno nello stomaco anche se avevamo letto del suo ricovero a Madrid. Da dichiarazioni lette sui giornali sembrava che l’infezione da covid-19 fosse controllabile. Eravamo fiduciosi, invece il virus è stato letale. Il colpo è duro. Io mi appassionai alla lettura di Luis Sepulveda con “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, tanti anni fa. Poi ho letto quasi tutto ciò che è stato pubblicato in Italia. Ma oltre allo scrittore ho apprezzato soprattutto la sua storia di militante della lotta per la libertà, determinata e coerente, da lui rivendicata senza prestare il fianco a quel protagonismo personalistico che molto spesso ha inquinato il confronto politico e culturale del mondo degli intellettuali. Era una gran bella figura.
Quanto alle notizie e alla discussione politica della giornata odierna c’è poco da commentare, se non che appare sempre più sconcertante il comportamento del Presidente della Regione Lombardia, Fontana, e con lui i vertici della Lega, che nel tentativo di nascondere i loro limiti e i palesi errori di governo, ne sparano una dietro l’altra seminando una enorme confusione. La Lega, come dicono i sondaggi, sarà pure il primo partito ma è certo che la credibilità di Salvini come leader di Governo è scesa molto, ma molto, in basso. Uno che fa politica con le giravolte a getto continuo non può pensare di accreditarsi come capo di Governo. E soprattutto fa emergere limiti evidenti di intelligenza politica. Ma ciò non è proprio al centro del nostro interesse.
Mentre al centro dell’attenzione forse ci dovrebbe essere un confronto più serio e approfondito sul dopo emergenza. Non mi riferisco tanto alla “fase 2” e alla progressiva convivenza con il virus che ci accompagnerà per un po’ di tempo e ci obbligherà a cambiare abitudini e a praticare diverse cautele, quanto all’esigenza di ripensare e correggere il modello di sviluppo. Fermarsi a dire che il Paese deve ripartire, anche se in condizioni di sicurezza, per tornare alla normalità, intendendo quella precedente, è un errore, oltre che un’illusione. Però è un errore che può indurre molti a credere a questa illusione e a sostenere esattamente quelle politiche che ci hanno portato alla crisi attuale, come sostenuto da tanti studi, anche con accentuazioni differenti, che concordano comunque sull’impatto negativo provocato dai cambiamenti e dalle alterazioni ambientali. Ma evidentemente quelli che insistono sull’urgenza di ritornare a come prima sono preoccupati che la situazione possa indurre a mutare qualcosa proprio nel modello di sviluppo che ci ha portato fin qui, ma che a loro ha garantito guadagni e poteri sicuri.