Mentre la situazione internazionale resta avvolta in una spirale che alimenta conflitti e guerre, per la gioia di produttori e venditori di armi, le insicurezze di ogni tipo tendono a crescere, e con esse le ricette semplificatorie e fuorvianti del populismo di destra. Trova invece sempre più difficoltà a tenere botta la democrazia, con i suoi valori fondati su metodo e regole che mirano a garantire libertà, trasparenza e partecipazione. Valori che sono assai più deboli del passato, ovvero da quando hanno assecondato il neoliberismo e lasciato campo aperto alla logica dominante del mercato. Una dimostrazione evidente è anche la crisi di autorevolezza e di iniziativa dell’Unione Europea, la cui voce pare totalmente assente nel confronto internazionale.
Come è possibile affrontare in questo contesto la questione sempre più centrale, urgente e drammatica del cambiamento climatico? Oggi sul Corriere viene affrontata da un articolo di Walter Veltroni che ci richiama al fatto che l’Australia che brucia, come le inondazioni delle Filippine o la distruzione della foresta amazzonica, siano tutti elementi di un processo che rischia di compromettere il futuro del pianeta. Certo, è vero che le dichiarazioni di preoccupazione in proposito non si contano e arrivano più o meno da tutte le parti, salvo i negazionisti “alla Trump”, ma ci si ferma lì. Quasi mai ai discorsi seguono comportamenti concreti, e quasi sempre si finisce per riproporre i meccanismi di sviluppo e gli stili di vita che sono alla base di questo rischio. Un solo esempio: molti studi ci dicono che a contribuire in modo consistente al problema sono le emissioni dei voli aerei, eppure in ogni parte del mondo si parla di crescita del traffico aereo e si investono enormi risorse per fare nuovi aeroporti e sviluppare collegamenti e voli. Magari sacrificando la mobilità su ferro che oggi offre tecnologie in grado di ridurre sensibilmente i tempi di spostamento anche su lunghe tratte. E purtroppo ciò avviene anche con le emissioni che riguardano molti campi del nostro modello di sviluppo e di consumi.
Su queste cose si dovrebbe concentrare l’attenzione invece che su una politica permanentemente impegnata nelle campagne elettorali. Ora tutta l’attenzione è rivolta alla scadenza delle elezioni regionali emiliano romagnole, con un Salvini che “batte” il territorio come se fosse il candidato alla Presidenza, ma senza parlare dei problemi della regione, alternando le sue dichiarazioni quotidiane fra toni da gradasso e toni vittimistici. I sondaggi dicono che la partita è molto incerta, comunque a me sembra che il clima politico sia cambiato da quando sono scese in piazza le Sardine. C’è un popolo democratico che non accetta passivamente che il Paese finisca nelle mani dei nazional populisti. Speriamo che sia maggioritario. Nel frattempo, nello scenario politico italiano, emerge la crisi disgregativa del M5S, frutto di una politica ambigua sul piano del progetto e sul fatto che sta saltando l’idea, a lungo predicata da Di Maio & C., che non ci sono più destra e sinistra. Forse è un bene, anche se molti temono uno sbocco ravvicinato nelle elezioni anticipate. Anche Zingaretti ha annunciato la volontà di aprire una fase di svolta e di cambiamento radicale del PD. Finora assai poco si è visto in tal senso. Si dice che la ragione sta nella necessità di salvaguardare la tenuta dell’attuale quadro politico, ma di certo si fa fatica a individuare nelle scelte fatte in questi mesi qualcosa di quella volontà di aprire e cambiare il PD di cui si parla adesso. Vedremo se la svolta arriva, io me lo auguro, ma intanto siamo alle prese in Toscana con una azione del PD che pare in netta contraddizione con quei propositi di cambiamento e rischia di indebolire la battaglia elettorale del prossimo maggio in cui è in gioco il futuro della guida politica della Regione. Su questo ho risposto alle domande del Tirreno con una intervista pubblicata stamani, in cui ho cercato di illustrare i termini della discussione aperta e le condizioni sulla base delle quali la lista di sinistra deciderà di partecipare o meno alla battaglia elettorale. Chissà se servirà a qualcosa.