Il clima politico alla ripresa dopo il periodo natalizio è segnato dall’attesa. In primo luogo per le sentenze della Consulta sulla ammissibilità dei referendum promossi dalla CGIL e poi sulla costituzionalità della legge elettorale (Italicum). Inoltre si cerca di capire come sia possibile per Renzi perseguire l’obbiettivo delle elezioni anticipate prima dell’estate e che cosa può fare il Governo Gentiloni in tale contesto. Ovvero, come possono essere affrontate le emergenze economiche e sociali del Paese senza una forte assunzione di responsabilità e di tenuta del PD, che si aggravano se non affrontate tempestivamente, come è avvenuto nel caso delle banche. La mia opinione è che dobbiamo mettere Gentiloni, a cui auguriamo una prontissima ripresa dallo scompenso che lo ha fermato per qualche giorno, nella condizione di lavorare con una certa tranquillità. Del resto pensare di inseguire l’idea di una sorta di rivincita sulla sconfitta del referendum costituzionale sarebbe del tutto sbagliato e pure catastrofico sul piano politico. Semmai il problema di fondo è quello di fare i conti, con un’analisi seria, con le difficoltà e pessimi risultati elettorali del PD messi in evidenza dalle elezioni amministrative prima e dal referendum dopo. Dai quali emerge un problema di rapporto con la società italiana assai problematico e tutt’altro che scontato per il futuro se non si pongono rimedi.
Basta pensare al tema del lavoro, della sua sostenibilità e dignità. Certamente la sentenza della Consulta, che non ha ammesso il quesito sull’articolo 18, ha “sminato” un bel pezzo dell’appuntamento referendario, ma tuttavia resta in campo pienamente la questione dei voucher di cui si discute da tempo ed è stata sistematicamente ignorata o sottovalutata. Si era detto di combattere la precarizzazione e poi si assiste alla sua anomala estensione. Ora si dichiara la volontà di fare correzioni. Bene, vediamo. Però la domanda è perché uno strumento come quello dei voucher, che esisteva prima del Jobs act, ha conosciuto una così grande estensione. Ciò è stato possibile, a mio parere, perché il messaggio che si è dato sul tema del lavoro e dell’occupazione è stato quello della massima deregolamentazione, giustificata con l’esigenza della flessibilità e le “troppe tutele” presenti nel diritto del lavoro. L’impatto di questa politica è stato molto negativo, per non dire devastante, nel rapporto con molte parti del mondo del lavoro e in particolare con i più giovani. Lo abbiamo visto nel voto del 4 dicembre. Ecco, allora adesso abbiamo l’occasione per riparare a quel l’errore, intervenendo sulla normativa con correttivi sostanziali, in grado di riaprire anche una canale di confronto positivo con i sindacati e le forze sociali e, soprattutto, di mandare un segnale di attenzione verso i giovani e il mondo del lavoro.
Ma tornando alla discussione necessaria nel PD credo che la via più giusta sia quella del congresso. Del resto l’Assemblea Nazionale ha approvato la proposta di Renzi di tenerlo alla scadenza naturale, che vuol dire nell’autunno del 2017, e ciò significa che, se davvero si vuol fare un congresso in cui il partito rimetta mani e piedi nella società, iniziare ora a organizzare il lavoro di preparazione di una piattaforma politica in grado di coinvolgere iscritti, elettori e anche associazionismo diffuso. Questo si dovrebbe fare, perché il congresso non è solo condidati, cordate e gruppi dirigenti da eleggere, ma dovrebbe essere innanzitutto visione della situazione economica e sociale, oltre che politica e istituzionale, e progetto per il futuro. Per questo un periodo dedicato all’ approfondimento sarebbe auspicabile, mentre sembra tutt’ora prevalere l’assenza di momenti organizzati di dibattito nel partito, evidentemente pensando che a questa si possa ovviare con la presenza sui media e con operazioni di immagine, come l’annunciati restyling della segreteria nazionale. In proposito, anche l’idea di procedere a congressi anticipati in febbraio, per risolvere più limitatamente problemi di segreterie e di gruppi dirigenti delle federazioni, come nel caso pisano, ha senso se si punta ad un coinvolgimento dei circoli, ad un allargamento della partecipazione, e ad una valutazione articolata della situazione politica locale. Un congresso provinciale che non affronti i problemi del territorio sarebbe inutile, un’occasione persa. Quindi, per dare seguito agli orientamenti annunciati anche a livello pisano contestualmente alle dimissioni del segretario Alessio Lari, è opportuno che vengano indicate al più presto, dal livello regionale o nazionale, le regole, le modalità e i tempi di questo passaggio congressuale. Sempre che questa, la scelta di un congresso vero, sia la volontà e sia possibile. Intanto, per quanto mi riguarda, come altre volte, cerco di dare una mano promuovendo occasioni di dibattito e di confronto come l’incontro di lunedì prossimo, 16 gennaio. Chi vuole ed è interessato può partecipare. Dalle 17.30 alle 19.30 sala riunioni della Leopolda in via Francesco da Buti – Pisa.