È tempo di salutare il 2016. Un anno carico di attese e di promesse che non sono andate in porto. La crisi economica e sociale non ha visto segni apprezzabili di inversione di tendenza, le riforme varate dal Governo e dal Parlamento non hanno portato i frutti sperati e ora si parla dei correttivi, la crisi del sistema politico e la sua caduta di credibilità permangono. Cresce invece la demagogia populista che in USA e in gran parte dell'Europa gonfia le vele della destra peggiore.
È evidente che per il centrosinistra non si prospetta una situazione tanto facile e la sfida per cercare di raddrizzare le cose sarà molto impegnativa. Ciò comporta, a mio parere, che si torni a parlare di una politica fatta più di contenuti, di analisi reali e di valori, e meno di immagine e propaganda. In molti ci hanno abbandonato perché non si riconoscono nel racconto dell'Italia che abbiamo fatto negli ultimi anni. E per ultimi anni intendo non solo quelli della leadership di Matteo Renzi. Sono passati vent'anni da quel 1996 del primo Governo Prodi, quello che aveva aperto la strada a grandi speranze. Si possono ripercorrere trovando i punti deboli, gli errori o le illusioni, praticamente in ogni anno passato da allora. E anche, ovviamente, le cose buone fatte. Le responsabilità politiche sono molteplici e diffuse. Tra queste credo che le più pesanti, per gli effetti che hanno prodotto, siano quelle che hanno ceduto all'idea che i partiti non servivano più, che in sostanza bisognava lasciare più strada all'individualismo anziché ad una visione d'insieme, più collettiva. Nella società e nella politica, inseguendo passivamente tendenze importanti che venivano con l'evoluzione delle tecnologie comunicative. Ora ne paghiamo lo scotto con la progressiva perdita di attrazione della democrazia intesa come partecipazione, rappresentanza e responsabilità. In più, e forse in virtù di questi fattori eccessivi di spinta alla personalizzazione e al leaderismo, di fronte allo sviluppo di un neoliberismo sfrenato, guidato dagli interessi della grande finanza, abbiamo pensato che bastasse agire con qualche iniezione di riformismo per correggerlo. Siamo andati dietro a Tony Blair, perché lui "era la sinistra che vinceva". Anche tutto il ragionamento sulla "terza via" si incagliò su questo nodo, che era quello di quale idea di sviluppo economico, sociale e ambientale, avremmo dovuto affrontare. Invece il centrosinistra si è avvitato su se stesso e sulle polemiche tra i suoi leader, con il corpo dei suoi elettori più interessato a cercare capri espiatori che non a premere per un processo partecipativo diffuso. Infine si è pensato che con il leader e la comunicazione si potevano risolvere tutti i problemi. Il PD nasce dentro a questo schema, con in più la sfida di mettere insieme storie, culture e esperienze diverse, che possono coesistere solo in un contesto plurale. Un contesto che per stare in piedi in modo efficace ha bisogno di confronto, di rispetto e di partecipazione, pur in un quadro di oggettiva personalizzazione dei meccanismi di selezione politica che si sono affermati.
Ma non è quanto abbiamo visto e fatto nella realtà e adesso il PD si trova di fronte a un bivio decisivo: la scelta è se proseguire su una via che porta sempre di più alla identificazione del partito sul leader e sul suo potere, oppure se rimettere in campo, in forma innovativa, una idea di partito aperto, trasparente, capace di promuovere e valorizzare il protagonismo degli iscritti e dei cittadini. Questo è il vero tema del congresso. L'interrogativo è se arriveremo davvero a fare questa discussione. Penso che lo vedremo presto. Sicuramente il 2017 sarà l'anno obbligato per sciogliere questo nodo. Pensare di eluderlo o aggirarlo non porta molto lontano, perché in fondo la sfida più grande è quella contro il populismo, e non lo battiamo se pensiamo di stare sul suo terreno, che si fonda su una logica anti-sistema estremamente semplificatoria e centralizzante.
Per tutto questo abbiamo proprio bisogno dei MIGLIORI PROPOSITI DI BUON ANNO. AUGURI A TUTTI!