Martedì scorso, alla partecipatissima presentazione del libro Utopia Europa di Nadia Urbinati (che potete rivedere qui), siamo riusciti a parlare e discutere di Europa senza mai nominare Salvini o Di Maio. E nemmeno fare riferimento alla bagarre quotidiana della politica nazionale, come purtroppo avviene nella campagna elettorale. Infatti il confronto e l’informazione sono quasi esclusivamente concentrati sulla battaglia politica fra la Lega e il M5S. Del ruolo del Parlamento Europeo, che si elegge domenica, e delle prospettive dell’integrazione europea poco o niente si dice. Quando invece la prima e fondamentale valutazione per la scelta elettorale è quella di sostenere o meno l’idea che il processo unitario vada avanti con più coraggio e realizzi l’integrazione politica, fiscale e sociale che finora è mancata. E, in questo quadro, anche la scelta sugli uomini e sulle donne da mandare a Bruxelles è importante. È importante che vengano elette persone che si battano per il progetto di integrazione nello spirito proposto da Altiero Spinelli e che si propongano di sviluppare iniziative, relazioni e alleanze capaci di contrastare il populismo nazionalista che sta insidiando l’Europa. Penso che la discussione di martedì sia stata utile a fornire spunti interessanti per questa riflessione.
Detto questo non sottovaluto affatto il peso e l’effetto che queste elezioni europee avranno anche sulla politica italiana. Le preoccupazioni sul rischio di una forte avanzata della Lega, con Salvini in testa allo schieramento sovranista di destra, come prefigurato dai sondaggi, sono assai diffuse. E non solo a sinistra. Il pericolo è quello di un isolamento dell’Italia in Europa e, soprattutto, di una nuova spinta alle politiche antisolidaristiche e agli egoismi sociali sostenute dalla destra. Per questo sentiamo molte posizioni che richiamano all’unità gli elettori democratici e di sinistra. È naturale, fa parte del DNA della sinistra, quello di costruire un campo unitario quando ci si trova di fronte al pericolo di una regressione sul piano democratico. Il rischio che c’è è reale, forse non come ritorno del Duce e del fascismo, ma più probabilmente come evoluzione neoautoritaria alla Putin. Ne ha scritto in proposito Adriano Sofri sul Foglio di un paio di giorni fa. Tuttavia nel richiamare questa esigenza unitaria, spesso espressa con la parola d’ordine “fare fronte”, senza peraltro alcun riferimento ai contenuti di tale indirizzo, vi sono semplificazioni e distorsioni che portano fuori dal campo di un ragionamento convincente. Anzi alla fine possono funzionare come una scusa per non fare i conti con il problema di fondo, che è quello di recuperare e conquistare consensi per battere sovranismo e populismi. Questo, a mio modesto parere, avviene quando si mette al centro del discorso, come causa delle sconfitte elettorali degli ultimi anni, i litigi, le divisioni o le scissioni della sinistra. Io non credo che gli operai, i lavoratori, le fasce sociali più deboli e meno informate, i giovani, abbiano scelto di votare in grande maggioranza, nel 2013 e poi nel 2018, per il M5S o per Salvini, perché dal PD era uscita una piccola pattuglia di parlamentari o perché era nata la lista di LeU, che peraltro ha messo insieme assai poco. Credo invece che la scelta di cambiare voto, o di astenersi, di molti, tanti, elettori di sinistra e di centrosinistra sia dovuta alle politiche portate avanti dal PD, percepite come politiche lontane dalle proprie esigenze e aspirazioni sociali. Del resto quando si dice che i sindacati sono un peso e il modello è il capo della Fiat Chrysler cosa volete che pensino i lavoratori… E in questo caso non si tratta di un equivoco, ma si tratta di una “narrazione” consapevole. Così com’è avvenuto con le politiche che hanno incentivato la svalutazione del lavoro. Significativa in proposito è anche la discussione sui rovesci elettorali nelle periferie, quelle a maggiore disagio sociale, che hanno visto la crescita della Lega. C’è quindi, innanzitutto, una questione di credibilità politica della sinistra e del centrosinistra fatta di contenuti che non può essere elusa e ridotta al problema della litigiosità o delle divisioni. Semmai il tema dovrebbe essere quello di riflettere, dopo aver fatto una seria revisione critica sulle politiche, sul come far vivere e rendere efficace un soggetto politico della sinistra che sia effettivamente plurale, trasparente e democratico, rispettoso delle idee e più propenso alla collegialità che non al leaderismo. La mia speranza è che dal voto di domenica esca innanzitutto un freno alla destra, e poi anche la consapevolezza che a sinistra c’è molto da cambiare e ricostruire.