Oggi anche al Senato si è consumata la grave forzatura sulla legge elettorale con ben cinque votazioni sulla fiducia al Governo. L’alleanza fra Renzi, Alfano, Berlusconi e Verdini, con l’appoggio di Salvini, ha funzionato bene. E in qualche modo si avvia la preparazione di uno scenario elettorale composto da novità di un certo peso. Ma certamente non positive per il Paese. Assisteremo ad uno spettacolo che prevede il rilancio su grande scala del trasformismo, perché quando si prevede la formazione di coalizioni tra liste non vincolate da nessun programma (ognuno porta il proprio) e variabili territorialmente con l’aggiunta di liste civetta, ciò che si mette in moto è quanto di più deleterio si possa immaginare sul piano della trasparenza della politica.
Comunque sembra evidente che su quella scheda elettorale si troveranno insieme, con molta probabilità, Il PD di Renzi, AP di Alfano e in qualche modo lo stesso Verdini. Mentre il centrodestra farà l’accordo con la regia di Berlusconi, e con grandi vantaggi di incremento della presenza parlamentare per la Lega, il quale si manterrà a disposizione due carte: quella di un Governo di centrodestra se avrà i numeri oppure quella di un accordo con il PD se l’unica possibilità sono le grandi intese. Del resto queste ipotesi vengono avallate da tutte le simulazioni fatte finora sugli effetti del “rosatellum”. Addirittura l’Istituto Cattaneo ipotizza un salto della Lega di Salvini alla Camera da 20 a 89 deputati. E di questi tempi è proprio un bel segnale … non c’è che dire. Si dice che nei collegi uninominali del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria) faranno cappotto. Ieri sera mi è capitato di parlare un po’ con alcuni deputati del PD e le preoccupazioni sono tante, insieme allo sconcerto per una scelta poco comprensibile sul piano dell’obiettivo di garantire rappresentanza e governabilità. Tuttavia assai rare, quasi invisibili, sono le voci che hanno posto il tema di cambiare quelle norme. Eppure nel merito non mancavano gli spunti e le proposte migliorative. Ancora stamani è uscito un appello di alcuni costituzionalisti con alcune indicazioni puntuali e percorribili per restituire con la legge elettorale un ruolo attivo agli elettori. Premessa essenziale per recuperare la fiducia verso la politica e le istituzioni.
Ma purtroppo viviamo un tempo in cui si fa di tutto per annullare il valore del senso critico e si accetta, per eccesso di realismo o di opportunismo che sia, che anche scelte chiaramente sbagliate e negative vadano avanti, forse con l’idea che poi, dopo il disastro, le cose possano ritornare dove si era prima. Ma non sarà così.
L’altro tema che ha occupato il dibattito politico di questi ultimi giorni è quello dei referendum consultivi promossi dalle Regioni Veneto e Lombardia. Un dibattito “confuso e incomprensibile”, come ha efficacemente argomentato Ugo De Siervo sulla Stampa di stamani. Però è sintomatico che riprenda una discussione sul tema delle autonomie e dei poteri locali. Possiamo dire che nel referendum costituzionale del 4 dicembre è stata sconfitta la linea che puntava ad una netta centralizzazione dei poteri, ma nella realtà il processo di svuotamento delle autonomie locali si è consolidato, anche grazie ad una posizione di sostanziale accettazione da parte degli amministratori locali. Va detto che anche nella sinistra, dopo una fase di impegno e di elaborazione, qualche anno fa, di una idea di federalismo solidale contrapposto a quello egoistico della Lega Nord, si sono affermate posizioni di diffidenza con spinte di tipo centralistico, motivate con la crisi e con il debito pubblico. Tra l’altro senza mai affrontare una seria riflessione con chi nelle Regioni e nei Comuni aveva lavorato su quell’idea. Io continuo a pensare che una strada di effettiva modernizzazione del Paese e di riequilibrio territoriale, fondata sulla trasparente assunzione di responsabilità, passa necessariamente da un processo di incremento dell’autonomia.
Comunque si tratta di problemi che scottano e vanno affrontati rapidamente perché l’impressione è quella di una progressiva caduta della credibilità delle istituzioni locali, che solo fino a pochi anni fa rappresentavano uno dei punti di maggior tenuta dell’assetto democratico e civile del Paese.