E così la legislatura è già finita prima di incominciare. Il Presidente Mattarella ha preso atto che nessuna maggioranza è possibile di fronte a forze politiche che interpretano la politica non come governo dei problemi, ma solo come propaganda elettorale e personalizzazione leaderistica. In ciò è presente una concezione preoccupante della democrazia, che viene piegata ai processi di individualizzazione e di frammentazione sociale prevalenti nella società di oggi e nei quali il riferimento principale non è agli interessi generali ma agli egoismi di singoli o di categorie. Beninteso, si tratta di processi che hanno origine e sviluppo nella crisi, nella perdita di sicurezza e di prospettive per le condizioni di vita dei settori sociali più deboli. A cavalcare questo malessere in Italia, chiamato populismo, sono soprattutto la Lega e il M5S. I “vincitori” delle elezioni del 4 marzo. Adesso, dopo l’impantamento del confronto post-elettorale, che ha dimostrato tutti i limiti della loro cultura politica e istituzionale, vogliono nuove elezioni entro il mese di luglio. Ovvero puntano a trasformarle in una sorta di ballottaggio fra Il M5S e il centrodestra, entrambi alla caccia del 40% che darebbe la maggioranza numerica in Parlamento. Sarebbe da dire che tutto questo è la conseguenza delle sciagurate proposte in materia di legge elettorale partorire dal PD, dall’Italicum al Rosatellum. Ma non è ora il caso di mettersi a ridiscutere su quei tristi passaggi, quanto invece è urgente e necessario per le forze progressiste e di centrosinistra ragionare sul come evitare il rischio evidente di una bipolarizzazione del sistema politico italiano sull’asse Lega e M5S.
Inevitabilmente questo obbiettivo chiama in causa innanzitutto il PD e la necessità di una revisione profonda delle sue politiche e della sua leadership. Stupisce che ancora, dopo il voto del 4 marzo, in quel partito si faccia fatica a discutere sulle ragioni della sconfitta. Anzi, delle sconfitte degli ultimi tre anni. Anche in una larga parte della base che ha sostenuto Renzi e che sembra non volere fare i conti con i risultati concreti, sul piano politico e elettorale, delle sue politiche. È come chi chiude gli occhi per non vedere e ammettere che qualcosa forse ha sbagliato. E allora continuano con la litania che incolpa di tutto le divisioni anziché vedere i contenuti reali dei problemi. Ma ecco che le divisioni ritornano anche dopo l’abbandono degli “scissionisti”.
Forse è il caso di aprire gli occhi, cari amici e compagni. Io non mi auguro nuove scissioni, ma penso che una svolta sia più che necessaria se si vuole evitare una deriva minoritaria che lascia il campo ai populisti. Non so come, ma vedo su alcuni giornali che inizia una riflessione sull’idea di indicare come leader del PD, e quindi come segretario e candidato premier, secondo Statuto, Paolo Gentiloni. Leggo che lui vorrebbe comunque delle garanzie, che significano accordo di tutti senza tutele e segretari ombra. Sarebbe già un passo avanti, anche se sul piano dell’impostazione politica e dei contenuti, per una forza che si dichiara di sinistra, mi sembrano più interessanti i propositi enunciati sabato scorso da Nicola Zingaretti nella sua iniziativa romana. Tuttavia il tema di come rimettere su basi nuove e solide una prospettiva di uscita dalla crisi con politiche di sinistra, capaci di combattere le diseguaglianze crescenti, ricostruire un giusto equilibrio sociale e dare un futuro alla nuove generazioni, resta il compito centrale per tutti coloro che non vogliono arrendersi a un modello di sviluppo distorto e ad un processo di progressivo svuotamento della democrazia partecipativa e rappresentativa.