Finite le vacanze, per chi le ha fatte, riprende la vita quotidiana con i suoi problemi. Nelle chiacchiere politiche che ascoltiamo in TV si sente usare spesso la parola “cambiamento”, anzi “Governo del cambiamento”, ma la sensazione è che se cambia qualcosa non è in meglio. Tra pochi giorni ripartono le scuole e dei tanti propositi enunciati con la “buona scuola” ben poco si vede. Inoltre si è appesantita notevolmente la situazione con la vicenda dei vaccini, che attraverso le ambigue scelte dell’attuale governo rischia di creare incomprensioni e allarmi diffusi nel sistema scolastico, nel corpo insegnante come tra i genitori. Lo stesso quadro di incertezza e di preoccupazioni vale per la situazione economica e per l’occupazione. L’Italia appare inchiodata alla campagna elettorale permanente, come notano diversi osservatori. In particolare la costante e quotidiana attività di esternazione di Salvini e Di Maio, che ha oscurato e azzerato il ruolo del Presidente del Consiglio, è oggettivamente proiettata alla propaganda elettorale anziché all’azione di Governo. L’attenzione è tutta rivolta all’immagine e al ritorno mediatico. Pare che ciò funzioni nei sondaggi. Ma, anche se fosse, i problemi restano e si aggravano. Non spariscono, e poi si ritrovano. Io resto convinto che i fatti, cioè la realtà, hanno la testa dura e le chiacchiere prima o poi svaniscono. È accaduto più volte negli ultimi vent’anni. E forse più si sparano grosse e prima si fanno i conti anche sul piano del consenso politico. Per questo a diversi compagni che mi manifestano ansia e impazienza spesso rispondo “diamo tempo al tempo”. E tuttavia la preoccupazione per il processo di degradazione sul piano culturale e civico stimolato e incentivato dalle posizioni di Salvini e della destra sono forti. Si tratta di una semina destinata a far male al presente e al futuro del Paese. Ecco perché c’è bisogno che a sinistra nasca qualcosa di nuovo, e soprattutto che ci sia una reazione sul piano della battaglia culturale da parte del mondo progressista. Non possiamo essere deboli o timidi nella difesa dei valori della tolleranza e della solidarietà. Il nemico peggiore è il fanatismo, e purtroppo ne vediamo molto nel momento politico che stiamo attraversando.
Sono rimasto colpito dai risultati di un “colossale studio realizzato dalla sezione inglese di Ipsos” pubblicati dal Corriere della sera di venerdì scorso. Un’indagine fatta in 13 Paesi con più di cinquantamila interviste. Il tema trattato è “L’indice della percezione” misurato su vari problemi. Ebbene l’Italia risulta il Paese che ha il record della percezione sbagliata, prima degli USA e della Francia. Cioè siamo un Paese di disinformati e di creduloni.
Alcuni esempi. 1) Quanti carcerati sono stranieri?”: fatta base 100 sono 48 quelli che lo affermano, mentre in realtà sono il 34,4%. 2) Quale percentuale di ragazze tra 15 e 19 anni pensi che partoriscano ogni anno?”: del 17% nelle risposte, dello 0,6% nella realtà; 3) “Su 100 persone, secondo te quante possiedono uno smartphone?”: percezione 91 e realtà 66; 4) “Quanti cittadini mussulmani pensi ci siano ogni 100 abitanti?”: percezione 20 a fronte di una realtà del 3,7. Ci superano solo la Francia e il Sudafrica.
Ecco, se da un lato anche questi dati ci fanno riflettere sul livello di istruzione del nostro Paese, da sempre considerato troppo basso, dall’altro segnalano un allarme su due aspetti: l’effetto negativo “dell’informazione fai da te” interamente basata su Internet e sui social media e i fenomeni distorsivi e manipolativi che vengono innescati da una percezione sbagliata. Non è un caso che il cosiddetto “populismo” trovi di che cibarsi in abbondanza in un contesto informativo e comunicativo così alterato come quello che viviamo. Ma quanto potrà durare una visione così distorta dei fatti ? Io non sono in grado di dare una risposta, non ho molta esperienza e competenza nel campo della comunicazione e della formazione delle opinioni di massa. Ma penso che la realtà non si possa abolire e che le condizioni materiali di vita delle persone alla fine un peso ce l’hanno. Nel 2008, dopo la indiscutibile vittoria elettorale di Berlusconi, riconosciuta la sera stessa, con una netta maggioranza parlamentare, si diceva che niente li avrebbe fermati. Questa era la percezione diffusa. Poi arrivò la crisi economica e sociale, arrivarono i fatti, e le promesse, a cominciare dalla riduzione delle tasse, si persero per strada. Non credo che oggi basti prendersela con l’Europa per evitare o nascondere la verifica sui fatti. E in realtà non credo nemmeno che serva difendere l’Europa così com’è. Il punto resta, a mio parere, quello di riuscire a mettere in campo proposte e soluzioni in grado di attaccare il malessere principale che agita i ceti popolari italiani e europei, che si chiama diseguaglianza, ingiustizia e insicurezza sociale.