Sul piano politico stiamo attraversando una fase davvero turbolenta. Sulla scena internazionale con l’arrivo di Trump stanno saltando vecchi equilibri e si addensano incognite e nubi assai scure, mentre l’Europa stenta a fare i conti con la sua crisi di progetto e di prospettiva. Il nostro Paese, dopo l’esito referendario e la sconfitta dei capisaldi portati avanti dal Governo Renzi, sotto l’incalzare di una crisi economica che moltiplica il malessere sociale, si trova adesso in una situazione di profonda incertezza. La cosa migliore sarebbe quella di fare il punto con calma, riflettendo su cosa non è andato nel verso giusto e su come cambiare le nostre politiche per far sì che l’Italia sia in grado di fronteggiare le nuove difficoltà e rilanciare l’economia e l’occupazione. Nel Paese si avverte un clima difficile, di rabbia e di risentimento sociale, che sfocia nella voglia di “mandare a casa” i partiti e i politici, e che, se non trova risposte concrete, è illusorio pensare che si placherà con il ricorso al voto nelle elezioni anticipate. Anzi, probabilmente queste saranno l’occasione per dare sfogo ai tanti rancori propri di questo periodo. Per questo innanzitutto bisogna evitare di trasmettere l’idea che, mentre la crisi si aggrava e reclama interventi nuovi, la politica, i partiti (e il PD) si accapigliano sulla legge elettorale e sulla voglia di elezioni. Tutto questo viene letto come un qualcosa che riguarda le ambizioni e i destini dei politici e non i problemi della società e dei cittadini. Anche per questo, oltre che alla semplificazione cronica che attanaglia la comunicazione politica, in certi sondaggi trova consenso la domanda e la richiesta dell’uomo forte.
In questo quadro come reagisce il PD e il suo gruppo dirigente? Le ultime giornate ci hanno consegnato una situazione confusa e non convincente. Sembra che il PD, così si leggono le prese di posizione dei massimi dirigenti, metta avanti a tutto, anche davanti all’esigenza di avere una buona e organica legge elettorale, la scelta di fare subito le elezioni, al massimo a giugno, anche con le regole elettorali uscite dalla Consulta, che con ogni probabilità produrrebbero una frammentazione parlamentare che può sfociare solo nell’ingovernabilità o nel governo di larghe intese con Berlusconi finora negato. Che fine ha fatto il discorso sulla necessità di mettere al primo posto la stabilità e la certezza di sapere subito chi ha vinto le elezioni ed è chiamato a governare? Forse era una pretesa esagerata, ma abbandonarla del tutto non pare logico. Infatti all’Assemblea Nazionale Renzi aveva proposto il ritorno al Mattarellum. Però questa battaglia non la stiamo facendo, anteponendo la ricerca di un patto (così hanno scritto i giornali) con il M5S e la Lega per il voto subito solo con qualche adattamento delle norme elettorali in vigore. E le battute del segretario che circolano in queste ore sembrano avallare questa ipotesi. Tra l’altro con la conseguenza che avremmo una Camera composta tra il settanta e l’ottanta per cento degli eletti come capilista bloccati, ovvero nominati, e una netta minoranza di scelti dal voto diretto degli elettori. Un esito che rafforzerebbe ancora di più il processo di allontanamento e distacco fra la politica e i cittadini, anche se l’idea piace molto ai capi dei partiti che così hanno la possibilità di decidere, direttamente e in gran parte, chi sono gli eleggibili. Mentre al contrario, una legge elettorale fondata sui piccoli collegi uninominali come il Mattarellum, riattiverebbe il rapporto fra eletti e elettori e spingerebbe anche i partiti nella direzione di un recupero di compiti e di responsabilità nel rapporto con il territorio e la società reale.
Del resto se torniamo un po’ indietro con la memoria, pratica troppo spesso rimossa, più o meno al tempo delle primarie che portarono Renzi alla segreteria del PD, possiamo ritrovare molte affermazioni di tutti i candidati, e anche di Renzi, che tuonavano contro le liste dei “nominati” del Porcellum e tutti che dicevano “mai più”. Tanto che allora si spinse sulle primarie anche per i parlamentari al fine di ovviare alla insostenibilità della nomina bloccata. Perché, dunque, accettare adesso, nell’ambito di un confronto volto a definire una nuova legge elettorale, l’idea di un Parlamento di “nominati”? Vogliamo regalare a Grillo anche il tema del potere di scelta dei cittadini sul piano della rappresentanza? Questi aspetti, a mio parere, sono più importanti dell’anticipo delle elezioni, vengono prima e devono essere la priorità che caratterizza la nostra proposta. Francamente mi sembra una ipotesi risibile, per non dire ridicola, quella di risolvere il problema ipotizzando le primarie per il candidato premier con una legge proporzionale e senza coalizione. Per questo ho firmato il disegno di legge sulle regole elettorali presentato ieri da Gianni Cuperlo. Ecco, pongo queste domande perché non vedo chiarezza nella posizione e nelle dichiarazioni del segretario del PD e semmai vedo una difficoltà a comprendere il clima che c’è nel Paese, come abbiamo visto in buona parte anche il 4 dicembre. Allora mi viene in mente il titolo di un famoso film e rivolgendolo agli amici e compagni della maggioranza del PD dico “salvate il segretario Renzi”, fermatelo e aiutatelo a uscire dalla sindrome del “ritorno subito”, perché se va avanti così il rischio di andare a sbattere di nuovo è altissimo, per lui, per il PD e per tutti noi. Il congresso in realtà è già cominciato e il pericolo è che finisca prima di celebrarlo. A meno che non si decida di rimettere in linea le scadenze con una vera e seria discussione sullo stato del Paese e del partito e le nuove prospettive in un mondo che cambia.