In questo periodo stiamo attraversando una fase incerta, carica di attese e di preoccupazioni per futuro del Paese e di tutti noi, ma anche portatrice di problemi annosi non risolti, o mal risolti e connessi ad una politica che continua a perdere credibilità e fiducia. Finalmente il Governo Draghi ha portato in Parlamento il progetto italiano per il PNRR. Sarà approvato senza i tempi di un reale confronto e il livello di conoscenza e di approfondimento è certamente inadeguato. Anche farsi un’idea, allo stato attuale, sul Recovery Plan non è facile. C’è chi scrive che in gran parte ricalca lo schema già elaborato dal Governo Conte e c’è chi sostiene che le misure previste, seppure importanti per sostenere la ripresa economica non corrispondono al disegno, auspicato da molti, di provare a produrre un cambiamento nel modello di sviluppo mettendo al centro la transizione ecologica.
L’ispirazione di fondo sembra riproporre sostanzialmente quell’idea della crescita economica, più o meno liberista, perseguita in Italia e in Europa negli ultimi decenni. Anche se va detto che la dimensione delle risorse pubbliche messe in campo per uscire da una crisi assai profonda dice di per sé che la bussola del concetto “meno Stato e più mercato” non ha fatto un gran bene ai Paesi occidentali, né a livello globale. Gli effetti sono stati quelli di uno squilibrio nel rapporto sviluppo-natura che produce guasti come la pandemia e di una crescita insostenibile e insopportabile delle diseguaglianze, accompagnata da una svalorizzazione dei diritti, a cominciare da quelli umani. Ecco perché sarebbe logico attendersi da un programma impegnativo come il Recovery Plan una visione capace di indicare una via di cambiamento proprio nel modello di sviluppo, nel fondamento della sua sostenibilità in termini di produzione e di consumi, nella dignità del lavoro e nel tasso di giustizia sociale da perseguire.
La mia opinione è che ancora non ci siamo, anche se a Draghi va dato atto della posizione chiara nell’indicare nel processo di indebitamento il fattore essenziale per affrontare la prova e collocare il tema del debito nell’ambito della auspicata ripresa economica. Questo è indubbiamente rilevante nel rapporto con l’Europa. Comunque cercheremo di conoscere meglio nei prossimi giorni i contenuti del Piano e i passaggi che comporta e comporterà sul piano politico e sociale. Nel frattempo un problema serio si pone sul piano della coesione della maggioranza che sostiene il Governo Draghi e non può essere ignorato.
La campagna strumentale e demagogia portata avanti da Salvini sulla questione delle aperture è grave e insostenibile, non solo perché crea una conflittualità all’interno della maggioranza di Governo sulle decisioni assunte collegialmente, ma soprattutto perché semina nel Paese, cavalcando il malessere sociale di alcune categorie, elementi di contrapposizione e di sfiducia che minano alla base la tensione unitaria e il senso di responsabilità che servono per uscire dalla pandemia e superare la crisi. Draghi in Parlamento ha giustamente fatto un richiamo alla necessità di evitare “miopi visioni di parte”, ma non basta per chiarire le cose. Forse dovrebbe collegare questo richiamo a quanto ha efficacemente detto nella celebrazione del 25 aprile ricordando che “dobbiamo scegliere sempre” e che “non fummo tutti, noi italiani, brava gente”. Ma non sarà semplice perché con la formazione di un Governo di tutti o quasi, e le elezioni politiche dietro l’angolo, la tavola è apparecchiata a tutto vantaggio della destra. Anche per questo bisogna agire e insistere per un chiarimento.
Nella situazione locale, regionale e provinciale, è esplosa all’improvviso l’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Toscana in materia di rifiuti e di traffico di droga. Soprattutto sulla questione dei rifiuti inquinanti provenienti dai fanghi del processo di depurazione del sistema conciario della “zona del cuoio”; l’indagine ha messo in evidenza una pratica di smaltimento illegale di tonnellate di ceneri tossiche provenienti dall’impianto di Santa Croce sull’Arno, attuata da una società legata alla ‘ndrangheta, in accordo con i vertici dell’Associazione Conciatori e i responsabili degli impianti di depurazione. Il tutto, secondo l’indagine, con il coinvolgimento di amministratori e funzionari pubblici, tra cui la sindaca di Santa Croce e un consigliere regionale. Vedremo, dal punto di vista giudiziario, quale sarà l’evoluzione dell’inchiesta e ci auguriamo che si arrivi presto a giudizio perché si tratta di interrogativi pesanti che incidono nella vita di una comunità. Possiamo solo dire che abbiamo fiducia che le cose si chiariscano. Invece sul piano politico possiamo dire che si tratta di vicende molto gravi, che intaccano la credibilità delle istituzioni a più livelli. Innanzitutto sul terreno della vigilanza e della lotta alle infiltrazioni mafiose. Anche per la Toscana era suonato un campanello di allarme già da molto tempo. Ricordo in proposito gli ammonimenti di Rosy Bindi quando presiedeva la commissione antimafia. Il pericolo c’era e c’è e non riguarda solo alcune zone del territorio regionale. Gli interessi legati alla mafia possono affermarsi in tanti settori. Allora il primo problema politico è perché teniamo la guardia abbassata? Perché non vigiliamo abbastanza sulla presenza di certe attività? In questo caso si trattava di una attività che si svolgeva a Pontedera, accogliendo il materiale inquinato e da lì ramificava la distribuzione in molti comuni. Questo è il primo tema di riflessione che come realtà politica e amministrativa Toscana dobbiamo affrontare. Inoltre questa vicenda porta alla ribalta l’esigenza di rilanciare l’obbiettivo del “produrre senza inquinare” che era alla base del processo di depurazione del sistema conciario avviato molti anni fa. Pensavamo, veniva detto, che fosse un progetto realizzato o quasi. Se non è così bisogna prendere il toro per le corna perché sono in ballo il futuro di un distretto produttivo con migliaia di posti lavoro. Le preoccupazioni dei sindacati e di tante imprese espresse in questi giorni sono reali e comprensibili. Ulteriori ritardi e sottovalutazioni non sono ammissibili. Bisogna ragionare sul modello produttivo e sui processi di lavorazione, oltre che di depurazione e recupero degli scarti, per individuare le cose da fare per azzerare i fattori inquinanti. Spetta anche alle istituzioni rilanciare con forza questo tema, e va fatto presto e con credibilità. Poi c’è il tema del rapporto fra la politica, le imprese e il territorio. Da quanto abbiamo letto vi sono stati comportamenti da parte degli amministratori pubblici definibili come troppo leggeri e disinvolti nel rapporto con alcuni rappresentanti degli imprenditori, tanto da far pensare ad una certa subalternità. Su questo, ripeto, bisogna confidare nell’esito delle indagini, anche se nello specifico non credo, conoscendoli, alla tesi della corruzione. Tuttavia la questione di mantenere sempre una chiara distinzione tra i ruoli e le funzioni di chi amministra la cosa pubblica e quelli di chi rappresenta interessi privati o di categoria va ribadita con forza.
Comunque, questa vicenda porta all’attenzione anche il problema dei cambiamenti che hanno segnato la politica e il sistema dei partiti. La crisi degli schieramenti politici e la contestuale personalizzazione della politica ha fatto venir meno l’azione di confronto e di controllo sociale largo sulle scelte e sulle decisioni politiche anche a livello locale. Siamo arrivati ad una sorta di delega totale, talvolta in bianco, verso chi è in cima alla rappresentanza istituzionale. Questo non è un bene, come non è un bene la ricerca ossessiva della visibilità individuale e della assenza di quei percorsi selettivi collegiali che un tempo venivano assicurati dai partiti. Si tratta, ovviamente, di un problema più generale, non solo locale, ma è evidente che questa vicenda specifica chiede al PD toscano e pisano di dare delle risposte, che non sono nel “fare quadrato” ma nella volontà di aprire una discussione approfondita sui problemi e sulle ragioni che hanno portato a questa situazione.