Il nuovo anno non è certamente cominciato sotto i migliori auspici. Il raid missilistico ordinato da Trump per uccidere il generale iraniano Suleimani, insieme all’annuncio dell’intervento militare della Turchia in Libia, sono portatori di nuovo caos nel mondo. Già si temeva un a ripresa della corsa agli armamenti nucleari, così come un ritorno su larga scala di attentati terroristici, e adesso questo pericolo appare ancora più consistente e possibile. E tutto questo in una situazione di profonda preoccupazione per il futuro del pianeta in relazione al cambiamento climatico, che richiederebbe un atto di responsabilità, se non altro per un principio elementare di precauzione, da parte dei governi dei principali Paesi della Terra. Un atto di responsabilità finora del tutto disatteso. Se queste sono le premesse con quale senso di fiducia e di speranza i giovani possono guardare al loro futuro? Indubbiamente ha fatto bene il Presidente Mattarella, nel suo discorso di fine anno, a mettere al centro i valori del civismo e della solidarietà (parola quasi scomparsa dai dialoghi comuni) e a richiamare la necessità per il Paese di poter contare sull’apporto dei giovani, che purtroppo non sono granché valorizzati e responsabilizzati nell’attività sociale e politica italiana. Ma si tratta di un messaggio che fa fatica ad affermarsi senza una forte e diffusa battaglia culturale contro le semplificazioni e i fanatismi che invadono la rete, i social e tutto il sistema mediatico.
Ci sarebbe bisogno di un serio sistema di corpi intermedi capace di filtrare il confronto e di fare una mediazione virtuosa, come in passato riuscivano a fare i partiti, i sindacati e le grandi associazioni di massa. Oggi non c’è più, si è teorizzata la inattualità e inutilità, persino ricorrendo spesso all’affermazione che non esistono più e sono superate le distinzioni fra destra e sinistra. Un abbaglio che stiamo pagando salatamente innanzitutto nella tenuta del tessuto civile e democratico del Paese, prima ancora che sul piano politico. Tra l’altro l’attualità del processo di sfaldamento che investe il M5S si sta sviluppando, paradossalmente per chi ha predicato il superamento delle differenze politiche in chiave antisistema, proprio sullo snodo di posizioni che sono definibili come di destra o di sinistra. Ma tornando al punto del messaggio del Capo dello Stato che richiama alla fiducia e alla responsabilità ciò avrebbe bisogno di una ripresa dell’impegno politico sui punti fondanti della nostra Costituzione che indicano l’esercizio della sovranità del popolo nella partecipazione dei cittadini e nel ruolo dei partiti, come nell’articolo 49. Certamente non è immaginabile pensare oggi alle forme organizzative del passato, ma è certo che senza la costruzione di strumenti di partecipazione e di responsabilità collettiva non sarà possibile attivare un impegno e una mobilitazione popolare in direzione dell’interesse generale del Paese, e resterà in campo e si rafforzerà l’idea dell’uomo forte al comando. Tra l’altro i segnali con cui iniziano gli anni venti di questo nuovo secolo hanno qualche similitudine inquietante con quelli del secolo precedente. Soprattutto il ritorno dei simboli e dei linguaggi del nazionalismo, del fascismo, e anche della violenza com’è avvenuto a Venezia nell’aggressione ad Arturo Scotto. Su questo piano la denuncia e la battaglia sui valori dell’antifascismo va condotta senza tentennamenti.
Infine mi preme ricordare il professor Elia Lazzari, scomparso proprio questo Natale, che fu Sindaco di Pisa dal 1971 al 1976. Con la sua elezione nacque un’inedita maggioranza che metteva insieme alcuni consiglieri della DC con quelli del PSI e del PCI. Lazzari insieme ad altri due consiglieri democristiani ruppe con il suo partito e ciò permise alla città di evitare il commissariamento del Comune ed avere una Amministrazione stabile. Infatti Pisa negli anni sessanta aveva una maggioranza imperniata sulla DC e stava passando da anni una situazione di profonda instabilità attraverso una girandola continua di Sindaci e di Giunte. Fu innanzitutto un’operazione dettata dalla necessità di dare ai pisani una Amministrazione funzionante, certa e affidabile. Certo, fu un’esperienza che aprì di fatto una nuova fase politica, un nuovo ciclo potremmo dire, anche grazie all’intelligente iniziativa unitaria della sinistra ispirata da Giuseppe De Felice. Ma non fu né “un ribaltone” politico, di poltrone o di schieramento, come ha commentato qualcuno, e nemmeno una “anticipazione del compromesso storico”, che fu teorizzato da Berlinguer nel 1973, come ha scritto qualcun’altro. Quel che è certo è che in quegli anni furono gettate le basi per una stabilizzazione amministrativa che ha fatto bene alla città mettendo al centro gli interessi di tutta la comunità, certamente sopra a quelli delle singole forze politiche. Elia Lazzari poi fu eletto Senatore nel 1976 come indipendente nelle liste del PCI e ha mantenuto sempre la sua indipendenza, coerente con la sua formazione profondamente cattolica.