Il tema politico centrale di questa settimana era la pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge elettorale, detta “Italicum”. Cosa che è avvenuta ieri, mentre il testo della sentenza con le motivazioni di merito arriverà a giorni. Non appena le agenzie hanno pubblicato la notizia, alla Camera è iniziata la discussione con una lunga serie di dichiarazioni e poi, ovviamente, il dibattito sui media. In Aula i lavori sono terminati ieri con la commemorazione della giornata della memoria prima e dopo ricordando le vittime del disastro del Rigopiano e dell’elicottero del soccorso caduto intorno al Gran Sasso, in una giornata caratterizzata da molti momenti di ricordo per Giulio Regeni, assassinato un anno fa in Egitto e rimasto finora senza verità e giustizia.
Tuttavia adesso l’attenzione si è concentrata tutta sul significato e sugli effetti della decisione della Consulta, che ha bocciato il perno centrale dell’Italicum dichiarando incostituzionale il ballottaggio così come previsto dalla legge. In pratica ha demolito la tanto decantata previsione secondo cui ci voleva una legge elettorale in grado di dire subito, la sera stessa delle elezioni, chi era il vincitore, facendo prevalere nettamente l’obiettivo della governabilità su quello della rappresentanza (che ha valore costituzionale). Questa opinione era anche alla base della posizione critica della sinistra del PD che portò diversi di noi a non votare la legge. Evidentemente avevamo visto giusto. Invece la Consulta non ha eliminato i capilista bloccati e le pluricandidature, ma ha solo tolto la facoltà di opzione degli eletti in più collegi. Questo, quello dei capilista bloccati e quindi nominati dalle segreterie, era l’altro grande punto critico della legge che, con collegi di settecento o ottocento mila abitanti, rende impossibile il rapporto diretto con il territorio e fra l’eletto e l’elettore. Tale previsione resta nel testo attuale per la Camera, così come resta il forte premio di maggioranza per la lista che raggiunge, se ci riesce, il 40% dei consensi. Evidentemente la Consulta, che comunque aveva l’obbligo di prefigurare una legge funzionante, si è concentrata sull’elemento di incostituzionalità più chiaro e eclatante. Dunque, ciò che ne è uscito fuori, è una legge che consente di andare alle elezioni con un sistema sostanzialmente proporzionale ma che risulta assai debole sul lato della possibilità di rilanciare il tema e il ruolo della democrazia rappresentativa, pure in un contesto incerto per la costruzione di maggioranze di governo omogenee. In più emerge la probabilità, da una prima proiezione dell’ufficio studi della Camera, che con queste norme più dei due terzi dei deputati eletti sarebbero di fatto nominati dai partiti e meno di un terzo eletti dagli elettori con le preferenze.
Tutto questo consiglierebbe di mettere al primo posto l’impegno per fare in Parlamento una nuova legge elettorale condivisa, in grado di tenere insieme le diverse esigenze di rappresentanza, di governabilità e di riattivazione del rapporto di fiducia fra eletti e cittadini. Mi pare che questa sia anche la richiesta principale del Presidente Mattarella. Ma c’è questa volontà politica? Finora non mi sembra, dato che sono partiti subito gli squilli di tromba per annunciare il voto anticipato. Comunque lasciamo depositare un po’ la polvere sollevata e la comprensibile agitazione e vediamo cosa succede una volta che tutti avranno fatto sufficienti riflessioni. Certo per Mattarella non si è aperta una situazione molto tranquilla, avrà un bel po’ di problemi da dipanare.
Chiudo suggerendo la lettura del “Buongiorno” di Mattia Feltri su La Stampa di stamani intitolato “Viva i traditori”. Mi sembra un contributo intelligente all’idea di ridare al Parlamento e ai parlamentari funzioni e responsabilità coerenti non solo con la Costituzione ma anche con i valori della libertà e della democrazia.