Come era prevedibile il mancato decollo di un disegno di stabilizzazione dell’attuale maggioranza riapre la strada a nuove spinte verso la ricerca di un nuovo Governo sotto le insegne dell’unità nazionale. Basta leggere fra le righe degli interventi del Presidente di Confindustria o dei titoli e degli editoriali dei maggiori quotidiani italiani. Ciò fa capire meglio perché solo sull’ipotesi di un accordo per le elezioni regionali o comunali fra il PD e il M5S, prospettata dal voto sulla piattaforma dei cinquestelle, si è sviluppato un dibattito politico che ha dell’assurdo. Quelli che prima accusavano la maggioranza di inaffidabilità perché troppo divisa all’improvviso hanno iniziato a gridare che l’alleanza è innaturale: veri e propri campioni del giornalismo italiano. Con l’accodamento di esponenti dello stesso PD che non vogliono un Governo di destra ma… “con il M5S mai!”, e di rimando quelli del M5S che… “con il PD mai !”. Intanto la destra fascioleghista prova a dare un colpo al Governo nelle prossime elezioni regionali cavalcando le politiche anti-immigrazione. È evidente che in un contesto di crisi così difficile, ancora immerso nell’emergenza virus e con una situazione economica e sociale preoccupante, il tentativo di mettere in campo una soluzione politica di “salvezza nazionale” può trovare spazio e credibilità, è certamente non sono accordi o mediazioni di basso profilo a impedire una simile eventualità.
In questo quadro quello che appare poco comprensibile è l’atteggiamento timido e ultra prudente del PD, che invece di rilanciare l’idea di un confronto e di un’apertura a sinistra si concentra nella difesa, pur necessaria ma di certo non strategica, dell’attuale equilibrio politico. Il caso più eclatante di questa fase è quello della posizione sul referendum per il taglio dei parlamentari. Non si capisce quale sia. Gianni Cuperlo ha motivato con chiarezza le ragioni per votare NO, descrivendo esattamente che allo stato delle cose sono stati disattesi, per colpa del M5S ma anche di Iv, tutti gli impegni presi in cambio del voto positivo al taglio in Parlamento. Impegni e atti legislativi volti a riequilibrare la questione della rappresentanza, che viene pesantemente alterata dal taglio previsto e stabilito con la modifica costituzionale sottoposta a referendum confermativo. Ma l’indicazione ufficiale del PD continua a essere per il “Sì”, con la preoccupazione, si sente dire, di “non entrare in urto con Di Maio e Conte”. Ecco, non è di sicuro questo il modo di agire per costruire una prospettiva di governo più solida perché incardinata sull’inveramento e l’attuazione dei valori e delle indicazioni della nostra Carta Costituzionale. Tra l’altro è utile ricordare che ogni qualvolta si sono prospettati cambiamenti costituzionali, sempre con la motivazione di migliorare il funzionamento delle istituzioni, il risultato reale e concreto è stato quello di peggiorare le cose e ampliare il senso di sfiducia e distacco fra i cittadini e le istituzioni democratiche. Forse è proprio da qui che dovremmo partire per una riflessione seria, non semplificatoria, sulle questioni poste dal referendum.
La mia opinione, anche sulla base dell’esperienza Parlamentare, è che sia il tema della riduzione del numero dei parlamentari così come quello dei costi e del risparmio, sia un falso problema, che però può diventare grave e enorme se funge da motore di una nuova spinta populista e anti-parlamentare. Quello che voglio dire è che la riduzione del numero dei parlamentari non è una cosa inaffrontabile se avviene in un quadro di salvaguardia della rappresentanza, e anzi, vorrei dire di rivitalizzazione della rappresentanza. Infatti si può tranquillamente affermare che nell’attuale funzionamento del Parlamento è molto difficile riscontrare un corretto peso ed esercizio della rappresentanza. Si tratta di un processo lungo, che si è sviluppato negli ultimi decenni, e ha coinciso da un lato con l’affermazione della decretazione d’urgenza come prassi costante per l’azione del Governo, svuotando di fatto il ruolo del Parlamento e, dall’altro, con la crisi dei partiti, la personalizzazione della politica camuffata da esaltazione del leaderismo, la caduta di credibilità della politica che ha aperto la strada ad una crescente campagna generalizzante e qualunquistica contro i partiti e i politici. “Meno poltrone ai politici”, c’è da ricordare a proposito di un altro recente referendum. In queste condizioni viene da chiedersi: quale rappresentanza? di chi e come? È possibile rivitalizzarla o ricostruirla senza soggetti politici collettivi, senza partiti? Io credo di no.
Allora più che modificare la Costituzione bisognerebbe agire per l’attuazione dell’articolo 49, quello sui partiti che devono “con metodo democratico” rappresentare i cittadini, introducendo regole che impongono la trasparenza sui finanziamenti, come sulla democrazia interna. Nella passata legislatura avevamo provato, in pochi, senza trovare, in verità, una convinta attenzione da parte di tutti i gruppi parlamentari. E in fondo credo che sia ancora così, dato che la battuta contro i politici rimane un passaggio tra i più applauditi in tutti i comizi, di destra e di sinistra, e anche per questo il taglio piace. Dunque, per mantenere un minimo di senso al principio della rappresentanza, non resta che votare NO al referendum e sperare in un sussulto democratico in grado di rianimare e rinnovare la politica italiana.