La posizione di netta sottovalutazione del problema della precarietà espressa da Berlusconi in tv è l'altra faccia del consiglio dato ad una lavoratrice precaria quando, alcuni giorni fa, gli suggerì di provare a sposare suo figlio o, comunque, di trovare un marito facoltoso.
Come è ovvio nel centrosinistra e nella sinistra queste dichiarazioni favoriscono forti e giuste reazioni. Ma ciò che va evidenziato è l'abissale distanza programmatica tra l'impostazione di Berlusconi e quella di Veltroni che non riguarda solo l'aspetto della tutela e della remunerazione delle forme di lavoro temporaneo, ma anche e soprattutto l'idea di futuro dell'Italia. Infatti nel nostro programma la questione della precarietà è strettamente legata al tema della casa sul piano sociale e ai temi della scuola e dell'università sul piano della formazione e delle prospettive di lavoro. Anche la proposta della dote fiscale fa parte della necessità di fronteggiare la crisi demografica del Paese. Si tratta di affermare una domanda nuova di famiglia che può partire solo da una forte fiducia verso il futuro. E la precarietà è il primo nemico in questa prospettiva.
L'altro punto necessario per dare spinta al Paese e più opportunità e certezze per l'avvenire delle giovani generazioni è quello dello sblocco sociale. Oggi l'Italia è un Paese senza una reale e diffusa mobilità sociale; è ingessato dalle logiche corporative e dai particolarismi che deprimono il merito nelle professioni come nella Pubblica Amministrazione e, spesso, costituiscono una barriera per l'avanzamento sociale; è condizionato dalla pratica delle raccomandazioni e dei "santi in paradiso".
Combattere la precarietà significa, quindi, combattere anche contro l'immobilismo sociale e creare le condizioni per la crescita e lo sviluppo.
Si tratta, penso, di un impegno centrale per il PD che, al contrario di quello che molti pensano, contiene un tasso alto di cambiamento e di conflittualità. Ma qui, su questi punti, si gioca davvero il futuro del Paese.
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