Confesso che la polemica e la discussione sulle parole di D’Alema non mi ha appassionato per niente. Sia per il livello di strumentalità, davvero esagerato, sul piano dell’uso da parte degli organi d’informazione di una battuta, peraltro fatta in una occasione più o meno conviviale, sebbene via web. Non mi ha appassionato soprattutto perché mi pare non ci sia, da parte di nessuno, la volontà di ragionare seriamente sulle sconfitte della sinistra nell’ultimo decennio, e quindi anche e soprattutto del PD se lo si valuta come un partito di sinistra. Ho ascoltato in diretta i saluti di auguri di Bersani, Roberta Agostini, Maurizio Di Giovanni, D’Alema e Speranza, e devo dire che la battuta sulla malattia e sulla guarigione del PD non mi è parsa felice né convincente. Sia nel senso della malattia che su quello della guarigione.
I problemi del PD non sono certamente iniziati con Renzi, ma è indiscutibile che con la sua segreteria si sono aggravati nella direzione di una torsione leaderistica che ha annullato ogni spazio di reale confronto interno. Va detto che i fenomeni di personalizzazione della politica e delle leadership erano già iniziati prima, soprattutto con gli staff dei collaboratori del segretario che ridimensionavano il ruolo degli organismi dirigenti e cancellavano l’idea del collettivo. Da questo punto di vista sia D’Alema che Veltroni e Bersani non possono chiamarsi fuori. Fenomeni che erano già presenti, in nuce, nel processo fondativo del PD e robustamente alimentati dai mutamenti che hanno caratterizzato il sistema della comunicazione. Renzi li ha esaltati, incrociandoli con una domanda di “nuovismo” interpretata come possibilità di cambiamento a prescindere dai contenuti del progetto. Il tema era che “con lui si vince”; “è giovane e sa maneggiarle la comunicazione”. All’inizio ha funzionato, ma ben presto sono venute fuori le ambiguità del progetto politico, che hanno prodotto una forte caduta di credibilità politica del PD e della sinistra nel mondo del lavoro e in ampi strati popolari. E adesso anche della sua, personale, credibilità. Ecco, forse quello che sarebbe più utile discutere è perché, attraverso quale processo culturale, può essere maturato nel popolo di sinistra un “abbaglio” di quel genere.
Per essere più chiaro prendo in prestito un passaggio scritto da Michele Serra su Repubblica, parlando di sinistra in occasione dell’elezione di Enrico Letta a segretario del PD: “Renzi non ha alcun interesse per ciò che comunemente chiamiamo “sinistra”. E’ un centrista con ambizioni fondate sulla sua persona. Per un clamoroso abbaglio (fui tra gli abbagliati) divenne segretario del maggior partito della sinistra italiana. Per Letta, invece, la sinistra significa ancora qualcosa”. Ebbene, forse il problema è che l’autocritica che si fa Serra non ha trovato un grande riscontro e sulle ragioni di quelle sconfitte si è preferito glissare. Già con la segreteria di Zingaretti si doveva fare più chiarezza per capire “l’abbaglio”, che a sentire certe opinioni pare tutt’ora ben presente. Adesso il problema è nelle mani di Letta, che deve dimostrare se per lui “la sinistra significa qualcosa”, ma non so se questo può bastare a recuperare la credibilità perduta. E chissà se l’ipotesi di un “ritorno” di Articolo Uno sia utile e efficace in proposito.
Credo che la possibilità di rilanciare la credibilità della sinistra passi necessariamente da un forte messaggio di novità, capace di trasmettere la percezione di una proposta di cambiamento sul piano economico, sociale ed ecologico in un contesto di rinnovamento della rappresentanza politica, con l’ambizione di governare e non di fare testimonianza minoritaria. Un primo seme in questa direzione poteva essere il progetto di Liberi e Uguali ma è stato bruciato in partenza, così come diverse esperienze unitarie di sinistra a livello regionale che vengono regolarmente azzoppate dal protagonismo divisionistico. Ora, purtroppo, gli spazi politici per una operazione di rigenerazione della sinistra si sono fatti più stretti e difficili di fronte ad una crisi profonda del ruolo e del concetto della rappresentanza così come delineato dalla Costituzione. I sondaggi ci dicono che nell’opinione pubblica si va facendo strada il presidenzialismo o il semi-presidenzialismo. L’idea cioè che ci vuole l’uomo solo al comando. Su questo piano le parole e le preoccupazioni pronunciate sia da Bersani che da D’Alema in occasione del brindisi di fine anno mi sono sembrate molto più importanti che non della battuta sulla malattia PD.
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