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Nel 1990 a Pisa/3

22 maggio 2023

L'organizzazione degli ultimi congressi del PCI, la Guerra del Golfo e la questione della trasparenza sulle nomine politiche

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Questa terza “puntata” di cronaca politica pisana tratta del secondo semestre del 1990. Se la vicenda della nascita della giunta pentapartito al Comune si concluse a metà luglio e avviò una fase tutto sommato fragile nel governo della città, per quanto riguarda il PCI quei mesi furono assai caldi nell’impegno e nel dibattito interno al partito. Dopo il congresso di Bologna, che aveva approvato a maggioranza la proposta del cambiamento del nome e l’attivazione di una fase costituente per definire i caratteri del nuovo soggetto politico, si aprì una discussione molto seria sul rischio di allargamento della spaccatura che si era sviluppata sulle mozioni. Il tema della ricerca della massima unità era in cima alle preoccupazioni di molti, anche nei gruppi dirigenti.

A Pisa provammo a gestire la situazione con una gestione unitaria della Federazione. Ci fu anche un tentativo trasversale di aprire un confronto in grado di superare o di rimuovere le contrapposizioni del congresso con un documento firmato da sostenitori delle mozioni 1 (Occhetto) e 2 (Ingrao). Come segreteria provinciale prendemmo una posizione che senza contraddire la linea degli organismi nazionali del partito puntava all’obbiettivo di ridurre al minimo i rischi di scissione o di disimpegno dell’area che non condivideva la svolta. Ne seguì una discussione accesa e non priva di asprezze che animò il percorso congressuale pisano. I tempi delle decisioni erano serrati. Il 10 di ottobre Occhetto presentò pubblicamente il nuovo nome del partito insieme al simbolo: Partito Democratico della Sinistra (PDS) e il simbolo del PCI alla base della quercia come nuova proposta. Mentre la presentazione e la discussione sulle mozioni per il XX congresso fu programmata per novembre, dicembre e gennaio, con la sessione nazionale finale per i primi di febbraio del 1991.

Si trattava di organizzare e mobilitare il lavoro di tutte le sezioni della provincia che contavano più di ventimila iscritti (20.360 nel 1990, per la precisione). Tra l’altro nell’ambito della fase costituente era prevista la conferenza di programma che si svolse il 15 di ottobre al Palazzo dei Congressi, in cui confluirono specifici contributi elaborati da gruppi tematici. Rileggendo oggi ritroviamo curiosamente questioni che sono al centro del dibattito anche oggi.

C’era la prima guerra del Golfo Persico, il problema della pace e del disarmo in concomitanza con la “fine della guerra fredda”, l’obbiettivo di un nuovo ordine mondiale con una maggiore influenza dell’ONU. E poi la difesa dei servizi pubblici, a partire dalla sanità, le tutele del lavoro e dei salari, l’attenzione al ruolo della formazione e della ricerca. Sul piano locale si confermavano le priorità enunciate nei mesi precedenti: dal risanamento dell’Arno al decollo del Parco Migliarino/S.Rossore; dalla qualità della vita alla riduzione del traffico; dalla crescita dei servizi sociali alla valorizzazione dei beni culturali. Comunque, nonostante il fatto che negli ultimi mesi dell’anno il PCI si trovò immerso totalmente nella vicenda congressuale nella politica pisana non mancarono fatti che fecero discutere e che misero in difficoltà la maggioranza di pentapartito.

Esplose il caso dell’applicazione della legge regionale in materia di trasparenza sulle nomine pubbliche, soprattutto in relazione alla iscrizione alla massoneria. Infatti nei curricula di molti candidati venivano omesse le informazioni necessarie e il gruppo consiliare del PCI chiese chiarezza. Si scatenò un putiferio. La Nazione titolò : “Una trappola dei comunisti in cui è caduta la giunta”, e poi “No alla schedatura dei politici”, riprendendo i comunicati risentiti del PSI e degli altri partiti di maggioranza. Ma al di là della singola questione in quel novembre venivano a galla i primi seri problemi di coesione della maggioranza, il più rilevante fu l’abbandono di fatto del preliminare del Piano Regolatore con la contestuale scelta di procedere a colpi di varianti urbanistiche. Anche su questo punto il PCI chiese di uscire dall’immobilismo in modo trasparente attraverso la ripresa del confronto in Consiglio Comunale.

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