Mentre ricevo buone notizie su un amico uscito da due giorni dalla terapia intensiva, superando una situazione di estrema gravità, leggo delle posizioni assunte da Matteo Renzi che propone il superamento, pur graduale, della quarantena generale e auspica che da aprile si riprendano diverse attività. Questo mentre tutti gli esperti, a partire dal Burioni da lui osannato, sostengono che è ancora troppo presto e non bisogna “allentare la presa” in nessun modo. È stupefacente come i due “Mattei” nazionali, pur di farsi notare e far vedere che esistono, non esitano a dire cose che che fanno male all’Italia e agli italiani, creando un clima talvolta di paura e talvolta di superficialità che indebolisce la coesione e la credibilità del Paese. Ma a farmi scrivere questo Taccuino mi ha spinto soprattutto il tema che sul piano politico è sicuramente quello più importante: l’atteggiamento dell’Europa di fronte alla crisi del Covid 19.
È evidente l’esito del tutto insufficiente e preoccupante del vertice dei capi di Governo di giovedì scorso, che dimostra in primo luogo una mancanza di consapevolezza sulla sfida che tutti abbiamo davanti, in Europa e nel Mondo. Quella consapevolezza a cui hanno richiamato nella giornata di ieri, con efficacia di immagini e di parola, Papa Francesco e il Presidente della Repubblica Mattarella. Grave è la sordità dei Paesi nord europei incapaci di ragionare sull’esigenza di superare una logica economica rigorista, che tra l’altro non ha certamente giovato ad aumentare la capacità competitiva dell’Europa nello scacchiere internazionale, sia sul lato economico che su quello politico.
Eppure qualcosa si era mosso in positivo nei giorni passati nell’ambito delle decisioni degli organi istituzionali europei come il superamento del vincolo sul patto di stabilità o nelle disponibilità annunciate dalla BCE. Ora la frenata e un rinvio che si motiva assai male di fronte alla drammatica emergenza che stiamo vivendo. Tutto ciò rilancia una polemica molto forte sul ruolo e sulla funzione dell’Unione Europea e tende a mettere in discussione l’utilità della sua esistenza seminando sfiducia e pregiudizi a piene mani. Ma pochi notano che in questo caso il problema sono non le istituzioni europee ma i Governi nazionali.
Il male è il sovranismo nazionalistico non l’idea e il progetto dell’integrazione europea. Ma è sempre più chiaro che quel progetto non potrà andare avanti e restare in piedi se non si riformano i meccanismi e si riducono gli spazi dei condizionamenti nazionali. Una Comunità non è fatta di tribù che rispondono ciascuna alle proprie decisioni e al proprio capo, ma si forma sulla base di regole comuni e di valori, e anche di autonomie, che hanno al primo posto la solidarietà e non gli egoismi territoriali o di parte.
In questa direzione vanno molte posizioni e appelli, come quello del CesUE, sostenuto anche dal Movimento Federalista Europeo, al quale anche io ho aderito. Ma serve in queste ore qualcosa di più. Forse dovremmo immaginare un messaggio, un qualcosa da rendere visibile dalle nostre finestre o dai terrazzi, che parli all’Europa dei cittadini e degli Stati per dire che nessuno può pensare di salvarsi sulla pelle degli altri e che il virus testimonia ancora di più l’esigenza di pensare ad un pianeta sempre più interdipendente e anche sempre più fragile e esposto alle scelte incontrollate e talvolta insostenibili dell’uomo. È il tempo di ragionare in termini di umanità e non di mercati finanziari.
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