Mentre ci apprestiamo al passaggio di ferragosto arriva la triste notizia della scomparsa di Gino Strada. Proprio quando della sua voce c’è ancora più bisogno, per dire no alle guerre, che purtroppo non si fermano e scaricano tutta la loro violenza sulle popolazioni inermi. Uno scenario drammatico al quale ci richiama brutalmente la vicenda dell’Afghanistan, smentendo e ridicolizzando le tante parole spese sull’esportazione della democrazia, e anche i dati che dimostrano come la pandemia abbia un impatto estremamente pesante sui Paesi più arretrati e in particolare sulla popolazione più povera e debole che si trova senza alcuna protezione. Con i suoi interventi Gino Strada, come quello di stamani su La Stampa, non ha mai smesso di denunciare le colpe delle ingiustizie profonde, e talvolta degli orrori, che gli interventi militari provocavano e provocano nei confronti dei civili, soprattutto donne e bambini. Ed è sempre stato sul campo con le strutture della sua Emergency a curare i feriti. La sua morte è una perdita pesante, non solo per i pacifisti ma per tutti i democratici.
Ciò ci rattrista molto in un agosto che all’inizio, con le Olimpiadi, ci ha portato qualche motivo di soddisfazione, sia sul piano dello spettacolo sportivo che su quello di una immagine multietnica della nostra rappresentanza nazionale, e poi è tornato a riproporre con forza le preoccupazioni sul lato dei contagi della variante Delta come su quello del lavoro, sia con i licenziamenti arbitrari di diverse grandi imprese internazionali e sia con la lunga catena di morti sul lavoro. Il tutto in un contesto di serio aggravamento del problema del cambiamento climatico; non solo per i fenomeni sempre più distruttivi del maltempo, dalla “grandine a palle” alle inondazioni, fino alla furia devastante degli incendi, ma soprattutto per il nuovo l’allarme arrivato dagli studiosi e dagli esperti dell’ONU che denuncia il rischio ormai ravvicinato di arrivare presto al “punto di non ritorno”.
Stupisce che nonostante le tante dichiarazioni di preoccupazione rilasciate dai leader dei Governi dei grandi Paesi del mondo, con altrettante promesse sulla riduzione dei fattori che provocano il riscaldamento climatico del pianeta, si continui a parlare di “crescita”. In particolare in Europa dove è stato elaborato il Next Generation EU con l’obbiettivo di costruire la “transizione ecologica”. Ebbene, dove sono, nell’elaborazione dei progetti, nelle scelte sui finanziamenti, nel dibattito politico e nei messaggi che vengono inviati ai cittadini, quei propositi e quei cambiamenti che dovrebbero almeno contenere e fermare gli effetti della crisi climatica? E’ il ponte dello stretto di Messina la soluzione? Oppure la riproposizione di un modello infrastrutturale e di sviluppo uguale, pari pari, a quello che ci ha portato all’attuale situazione critica?
Quello che emerge è una assenza di confronto e di discussione su questi temi, forse perché sono scomodi, perché chiamano in causa la necessità di pensare con una visione e un progetto, mentre invece è assai più facile raccogliere consensi parlando del presente, inseguendo gli interessi e le domande della vita quotidiana, in una crisi economica che allarga le diseguaglianze e dove malessere e egoismi sociali si sviluppano e si intrecciano nell’alveo dell’individualismo più spinto. E la politica dov’è? Cosa fa? Certo, abbiamo un Governo guidato da una personalità autorevole che offre garanzie internazionali e affronta l’emergenza, un Parlamento che nonostante tutte le conflittualità propagandistiche di Salvini gli va dietro, un Capo dello Stato che tutela i valori costituzionali, pure in una fase in cui assistiamo a ingiustificabili sortite di stampo fascista, ma nel complesso è difficile individuare i germogli di un reale processo di recupero della credibilità e della fiducia perduta dai partiti e dalle istituzioni democratiche, intese come forma riconosciuta della rappresentanza dei cittadini.
Questo a me sembra il problema di fondo del quale bisognerebbe discutere, a cominciare dalla politica, ma anche da parte dei tanti soggetti che nell’economia, nella finanza e nell’informazione non mancano di lanciare appelli sulla necessità di generare fiducia e coesione per rilanciare il Paese (ovviamente dopo aver detto tutto il male possibile dei partiti). Però, però… Il centro del confronto politico in questa fase pare vada nella direzione di un lungo interrogarsi sul semestre bianco e sulla questione se il premier Mario Draghi deve fare il Presidente della Repubblica, e quindi aprire la strada alle elezioni anticipate, oppure se deve arrivare alla fine della legislatura nel 2023 e quindi occorre convincere Mattarella a rimanere ancora per un po’. Questa è la questione centrale proposta dai grandi quotidiani italiani, a cui si può aggiungere il fondamentale articolo sul Corriere di oggi intitolato “Ruoli e alleanze. Tornare a rivedere il centro”.
Ma com’è possibile, mi chiedo, che il Paese e soprattutto i giovani possano trovare motivi di interesse e di partecipazione, e quindi di fiducia, nella politica e nel futuro del Paese con questi argomenti? Forse è una domanda troppo impegnativa per la calura di questa metà del mese ed è meglio aspettare settembre. Chissà. Intanto Buon Ferragosto a tutte e tutti.