Gli auguri a tutte e tutti sono la giusta consuetitudine che ci impegna nel periodo natalizio e in vista dell’anno nuovo. Un po’ di tempo fa si augurava “pace e serenità”. Sono parole che talvolta vengono ripetute anche adesso. Ma nella realtà attuale hanno un suono strano, portano con sé una buona dose di ipocrisia. Le notizie che bene o male ci raggiungono ogni giorno parlano di guerre e di sterminio, soprattutto di civili, donne e bambini, e di crudeltà inaudite.
E le cifre dell’economia globale ci dicono che stanno aumentando le spese militari e gli investimenti in bombe e armamenti mentre diminuiscono le risorse per gli interventi sociali, la sanità e il sostegno ai più deboli. Crescono le diseguaglianze sociali in ogni campo. Ecco che allora si mette in cima ai pensieri e agli auspici la parola “speranza”, che allude ad un processo di cambiamento o, quantomeno, all’esigenza di evitare la rassegnazione. Ne parlavo ieri con un amico e mi è sfuggito il detto “la speranza è l’ultima a morire” e lui ha replicato “vallo a raccontare a quelle migliaia di uomini, donne e di bambini che sotto le bombe e il fuoco delle armi si sentono i primi a morire”. E’ vero, spesso i nostri commenti aderiscono con fatica alla realtà, non sempre riusciamo a cogliere la portata effettiva della disperazione, ma tuttavia anche nelle zone più colpite e sottoposte alla ferocia della guerra, come in Palestina, permane una domanda di pace, di umanità e di libertà che non possiamo abbandonare.