Nel post di settembre intitolato “Alla ricerca della credibilità perduta” facevo riferimento alla crisi di fiducia che da tempo ha investito la politica e i partiti, e ha aperto la strada a populisti di vario genere. I risultati delle elezioni del 3 e 4 ottobre non hanno segnato, da questo punto di vista, una novità. L’alto livello delle astensioni, che ha superato il 50%, rappresenta un record negativo. Più di un elettore su due ha scelto di non votare. Le analisi sui flussi uscite pubblicate sui giornali o sulla rete dicono che l’astensionismo è stato più alto nelle periferie, ovvero nelle zone a insediamento popolare, dove certamente prevalgono le preoccupazioni sui temi del lavoro, dell’impoverimento economico e sociale, dell’insicurezza generalmente dovuta sia alla pandemia che alla mancanza di certezze per il futuro.
Questo, in molti commenti, viene interpretato come un cambiamento dal punto di vista psicologico: ovvero “diminuisce la rabbia che alimentava il populismo e c’è una ricerca di stabilità”. Per questo, si dice, perdono voti i Cinque stelle e la Lega di Matteo Salvini. Francamente non so dire se e quanto questa lettura sia fondata. Penso che forse lo è in piccola parte, ma da qui a dire che il malessere sociale si è assopito ce ne vuole, e può darsi invece che covi sotto la cenere per tornare a esplodere in seguito se, dalla politica e dal Governo, non arriveranno risposte concrete sul piano del miglioramento delle condizioni di vita degli strati sociali più colpiti dalla crisi degli ultimi anni. Si tratta comunque di una questione, quella dell’astensionismo, che riguarda anche lo stato di salute della democrazia, perché indebolisce la funzione della rappresentanza e rafforza l’idea dell’uomo solo al comando. Guai a sottovalutare questo aspetto.
Tuttavia sul piano politico è indiscutibile che le elezioni le ha vinte il centrosinistra e le ha perse il centrodestra e questo dato cambia la dinamica del sistema politico. Il PD di Enrico Letta ha guadagnato uno spazio d’iniziativa assai rilevante mentre a destra, soprattutto nella Lega, si è aperta una situazione di difficoltà. Anche il M5S esce malconcio dal voto, anche se di positivo c’è un rafforzamento per Conte sulla linea della alleanza con il centrosinistra. Certo, se analizziamo i dati questo esito positivo per il centrosinistra è determinato più dalle astensioni che da uno spostamento dei consensi, e permangono sul piano sociale dei seri problemi con il voto degli operai che continuano a scegliere in maggioranza la destra, come a Torino o Milano, ma nell’insieme assicurarsi la guida delle grandi città rappresenta un segnale importante di cambiamento delle attese anche in vista delle elezioni politiche.
Un segnale che va concretizzato non solo con il proposito di lavorare per una alleanza larga, come ha dichiarato Letta, ma anche con l’esplicitazione di contenuti chiari, visibili e praticabili, in direzione del riequilibrio sociale; combattendo le diseguaglianze, costruendo un sistema fiscale più equo, salvaguardando il lavoro e la sua dignità, sviluppando politiche coerenti e efficaci sul piano del contrasto ai cambiamenti climatici e ai loro effetti. In sostanza, ripensando i caratteri e le priorità dello sviluppo. Da questo punto di vista dire che l’obiettivo è “l’agenda Draghi” è non solo limitativo ma soprattutto distorsivo. Comunque vedremo come si muoverà Letta nelle prossime settimane, dopo i ballottaggi di Roma e Torino, e che tipo di dibattito si svilupperà a sinistra in un contesto eccessivamente frammentato e dispersivo. Però un momento di riflessione dovremo farlo anche in Toscana.
Gli esiti del voto nelle comunali ci dicono che nei Comuni dove la destra vinse cinque anni fa è riuscita a conservare la maggioranza e la guida delle amministrazioni. Grosseto in primis. Può apparire consolatorio dire che quasi dovunque si sono ripresentati i Sindaci uscenti il voto li ha premiati, ma sarebbe un errore. Soprattutto dopo aver magnificato i risultati delle elezioni regionali dell’anno scorso. Ciò significa ragionare seriamente sui limiti delle politiche attuate dal centrosinistra in Toscana, spesso più caratterizzate da una ricerca di visibilità propagandistica che non dalla concreta mobilitazione e organizzazione di risorse e energie umane indirizzate alla soluzione dei problemi. Speriamo che l’aria di vittoria declamata in queste ore non cancelli l’esigenza di una seria riflessione, ricordando che una delle prerogative necessarie per essere credibili è quella di ragionare e fare tesoro degli errori e dei propri limiti.