Il dibattito politico italiano appare assai asfittico. Al primo posto c’è, ovviamente, la pandemia. Il tema ricorrente tra le persone sono le vaccinazioni, ma in un contesto che sembra segnalare una diminuzione delle ansie e delle paure che abbiamo vissuto nei mesi passati. Mentre tiene banco nella polemica politica la questione delle riaperture costantemente agitata dalla destra. La strumentalità è evidente, anche alla luce delle decisioni del Governo che prevedono un progressivo allentamento delle restrizioni in ordine all’ampliamento del numero dei vaccinati, ma è paradossale e potenzialmente degenerativo il tentativo, avallato dai media, di mettere in contrapposizione fra loro i concetti di tutela della salute da un lato e di libertà dall’altro.
Salvini si muove in modo spregiudicato nella competizione elettorale con la Meloni sfruttando gli spazi di ambiguità generati dalla formazione dell’attuale Governo guidato da Draghi, con una maggioranza fondata più sulla larghezza anziché sulla responsabilità e sulla coerenza. E finora, purtroppo, sono parsi assai deboli i richiami del Presidente del Consiglio ad una condotta chiara e trasparente nei rapporti politici. Il risultato è che il contesto politico si presenta come oggettivamente favorevole alla destra, nell’immediato e nella prospettiva delle elezioni politiche. La legislatura finisce nel 2023, ma è molto probabile che l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, prevista per l’inizio del prossimo anno, porti ad una anticipazione del voto per il nuovo Parlamento. E chissà se Salvini non chiederà una accelerazione già nel semestre bianco. Forse un passaggio importante per “tastare il terreno” saranno le elezioni comunali di fine estate o inizio d’autunno. Ma da quello che si legge e si vede non emergono novità significative. La destra ci arriverà unita, nonostante l’attuale guerriglia sulle candidature a Roma e Milano, mentre stenta a prendere corpo uno schieramento alternativo basato sull’alleanza che sosteneva il Governo Conte. In sostanza centrosinistra e M5S si presenteranno divisi agli elettori nei principali comuni del Paese. A ciò bisogna aggiungere che anche nel campo del centrosinistra permangono frammentazioni e logiche di basso profilo.
Ebbene, se andiamo avanti così sarà difficile immaginare un esito diverso da quello che abbiamo visto nelle recenti elezioni a Madrid o in Inghilterra, e che in qualche modo viene segnalato anche dai sondaggi italiani. Quello che però stupisce è la mancanza di questa percezione nel dibattito a sinistra, come se fosse possibile cambiare le cose con qualche accorgimento d’immagine sui leader o sul messaggio. Sicuramente per riattivare canali di rapporto e di fiducia con larghi strati sociali e con le nuove generazioni c’è bisogno di novità. Ma si tratta di una novità capace di stare in sintonia con la domanda di cambiamento e di indicare i contenuti principali per attuarla.
Siamo entrati in un’epoca in cui il tema della sostenibilità ambientale ha assunto una centralità largamente sentita e un segnale importante lo hanno dato anche i successi elettorali dei Verdi in Germania e in Francia. Del resto il perno della svolta europea rappresentata dal Pnrr ruota attorno al tema della crisi climatica e dell’esigenza di realizzare la transizione ecologica. Per l’Italia un’occasione straordinaria per affrontare la crisi economica e sociale prodotta dalla pandemia e creare le condizioni per la ripresa. Ma anche un’occasione per provare a correggere i meccanismi dello sviluppo che generano diseguaglianze e danneggiano l’ambiente e la salute. Ecco, difronte a queste opportunità, la sinistra e il centrosinistra hanno detto ben poco.
Il Recovery Plan varato dal Governo italiano, pur importante è impegnativo, appare debole e timido sul lato delle attese di cambiamento. Peraltro con aspetti poco giustificabili come le misure decisamente insufficienti sul piano della prevenzione e della tutela della salute come della formazione e della ricerca. Ma anche sul lato della transizione ecologica, a leggere i commenti di molti esperti, siamo lontani da una impostazione effettivamente innovativa e coraggiosa. Va comunque constatato che nel Paese, a fronte di un Piano così poderoso di investimenti, non è decollata un’attenzione e una discussione minimamente in linea con gli obbiettivi enunciati. È, credo, la dimostrazione di assenza di una visione progettuale sul futuro del Paese che invece sarebbe necessaria per riattivare un processo di fiducia tra i cittadini e le istituzione democratiche.
Infine, torno per un momento sulla vicenda delle infiltrazione mafiose e dell’inquinamento che ha scosso la zona del cuoio e di cui ho scritto nel Punto del 27 aprile. Chiudevo il commento auspicando l’apertura di una discussione seria, soprattutto da parte del PD, capace di individuare i punti critici di una vicenda da considerare molto grave nei suoi diversi aspetti, evitando chiusure e arroccamenti. Una vicenda che sul piano politico non è silenziabile. Ma per giorni non ci sono state risposte adeguate dal PD, in Consiglio Regionale come nella realtà pisana. La riflessione più lucida e approfondita l’abbiamo letta nel documento di Sinistra Civica Ecologista del Valdarno Inferiore, purtroppo ignorata dalla stampa locale. C’è voluta una dichiarazione di Rosy Bindi per dire al PD di riportare i piedi per terra e che senza una seria presa d’atto degli errori, delle sottovalutazioni e delle distorsioni, che l’indagine mette in evidenza, non è immaginabile una uscita dalle difficoltà attuali e recuperare la credibilità perduta.