Con la rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica c’è stato indubbiamente un respiro di sollievo. La situazione poteva riservare delle sorprese sicuramente al di sotto delle esigenze di garanzia democratica che sono necessarie. Soprattutto in un momento complicato come quello che stiamo attraversando: come Paese e come società. Ho pensato che questa scelta sia in fondo il male minore, nel senso che comunque nella rielezione vi è una forzatura rispetto al dettato costituzionale, ma data la confusione politica e i rischi che da questa potevano uscire meglio così. Certo, come molti hanno osservato, la politica e i leader politici hanno fatto una brutta figura, dovendo prendere atto che non erano stati capaci di trovare una intesa praticabile. Giornali e commentatori televisivi hanno fatto a gara a mettere sul banco degli imputati i partiti scordandosi che l’attuale sistema politico, compresa la smania di protagonismo e di visibilità dei leader, è frutto in gran parte dell’influenza del sistema mediatico.
Il punto è che i partiti non sono più quei corpi intermedi che consentivano collegamento e partecipazione con i cittadini, ma sono ormai la rappresentanza di un insieme frammentato di ambizioni personali vitalmente connesse alla battaglia quotidiana per il consenso. Non le idee ma la tattica e la presenza sui media sono la bussola della politica attuale. Questo tema, quello del ruolo dei partiti, lo ha ripreso Mattarella nel suo discorso di insediamento di fronte alle Camere. Giustamente. Ma sulle scelte da fare per provare a ricostruire la credibilità persa da parte dei partiti non mi pare che ci sia la necessaria consapevolezza e disponibilità. Mattarella ha collegato questo tema ai fattori critici che insidiano la democrazia parlamentare, a cominciare dal problema della velocità delle decisioni, che si pone in un contesto caratterizzato dalle emergenze, e anche dal condizionamento dei poteri economici sovranazionali. Non a caso si parla di crisi della democrazia e di spinte verso sbocchi autocratici, non solo in Italia. Ma da noi preoccupa una evidente crescita, nell’opinione pubblica , di una certa propensione verso la suggestione dell’uomo solo al comando, del salvatore, condita con una domanda di decisionismo. E su questo piano, al di là degli applausi manifestati a Mattarella quando ha sottolineato il problema delle garanzie costituzionali, le posizioni in campo sono molto diverse e segnalano un nodo serio del confronto politico prossimo venturo.
La destra punterà decisamente in direzione di una scelta presidenzialista, sfruttando l’eccezionalità delle emergenze pandemica e economica insieme al diffuso malessere prodotto dalla crisi. A sinistra il rischio è di pensare che il problema del recupero di credibilità dei partiti si risolva solo con la legge elettorale. Ci sarebbe bisogno di rilanciare il tema dell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione mettendo al centro la questione della trasparenza dei partiti, sia in termini di metodo democratico che di rapporto con la società, riprendendo anche la questione delle risorse e del finanziamento pubblico. Una battaglia da fare in nome di una buona politica, autonoma dai grandi interessi e comunque sottoposta alla verifica dei cittadini sul piano della piena trasparenza, dando loro la possibilità di chiedere conto, non solo con il voto, dei comportamenti scorretti dei partiti. Si tratta di una sfida difficile da portare avanti, anche perché di partiti prevale l’idea che sono padroni in casa loro, ma senza una scelta di questo genere appare assai complicata la possibilità di rigenerare fiducia nel sistema politico.
Ma la sfida può diventare vincente se la sinistra e il campo democratico e progressista riescono a collegarla alla battaglia per l’eguaglianza, la giustizia sociale e per il futuro del pianeta, ovvero la sostenibilità ambientale. Mattarella ha usato un efficace passaggio quando ha parlato delle diseguaglianze che “non sono un prezzo da pagare alla crescita ma sono in realtà un freno alla crescita”. Una affermazione chiara ma di cui facciamo fatica a trovarne un riscontro convincente nelle politiche attuali portate avanti dal Governo. Ovviamente le funzioni del Capo dello Stato sono diverse da quelle del Presidente del Consiglio e così anche il senso e il contenuto degli interventi, ma attenzione a non usare il significato dei messaggi in modo incoerente e a non accentuare il livello di separatezza che c’è, ed è evidente, fra i propositi che si enunciano e la realtà dei fatti. Altrimenti la sfiducia crescerà, e con essa il discredito verso la politica.