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No alla guerra. Sì al disarmo

11 marzo 2022

La mia impressione è che siamo entrati nel pieno di una regressione sia culturale che civile.

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Viviamo una stagione davvero difficile da immaginare solo pochi mesi fa. Alla lunga fase dell’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia, che ha già causato un notevole smarrimento, si è aggiunta la nuova guerra avviata dalla Russia con l’aggressione all’Ucraina. Una violazione grave e ingiustificabile del diritto internazionale, che ha determinato in modo precipitoso una situazione di profonda preoccupazione per i rischi che si aprono con un conflitto nel cuore dell’Europa e con protagonisti che detengono un arsenale nucleare, come la Russia. Il solo fatto che adesso si parli della deterrenza o della minaccia nucleare segnala che si è aperta una porta molto pericolosa, che fino a ieri era serrata e considerata intoccabile. Inoltre si è annunciata una ripresa di investimenti negli armamenti anche in Paesi, come la Germania, che avevano mantenuto una politica di contenimento. Sulle ragioni che hanno portato Putin a fare questa scelta criminale c’è un dibattito aperto, ma è evidente che l’Europa e gli USA hanno una responsabilità notevole perché di fronte allo sfaldamento dell’Unione Sovietica e allo scioglimento del Patto di Varsavia hanno di fatto lasciato crescere i nazionalismi pensando di ricavare un vantaggio dalla frammentazione dell’Est europeo per un verso, e favorendo l’espansione della Nato in modo eccessivo, quasi come a identificarla con il processo di allargamento dell’Unione Europea, per un altro.

Tuttavia, al di là di un dibattito spesso confuso e semplificatorio, i propositi annunciati da Putin, di una sorta di ritorno ai confini della Russia zarista, sono del tutto inaccettabili. In questo contesto, mentre cadono le bombe e muoiono tante persone, soprattutto civili, e il popolo ucraino sembra resistere con grande motivazione, la Russia sconta un forte isolamento internazionale, colpita dalle sanzioni economiche e da una pressione molto ampia da parte dell’opinione pubblica europea. Ne sono una dimostrazione evidente le grandi manifestazioni per la pace che hanno attraversato le principali città del continente, e anche il malessere che serpeggia nella Russia stessa nonostante le pesanti misure repressive messe in atto. Ma ogni ora che passa rende ancora più impellente la necessità di uno stop alle armi, di un cessate il fuoco immediato, che permetta di avviare un serio negoziato finalizzato a trovare un compromesso in grado di garantire la pace. Purtroppo, ancora una volta, dobbiamo registrare l’impotenza degli organismi internazionali, primo fra tutti l’Onu, quando invece, in un mondo in cui si moltiplicano i conflitti, aumenta l’esigenza di avere un autorevole e riconosciuto regolatore di un nuovo ordine internazionale fondato sulla pace e la cooperazione. Comunque le cose incalzano e non possiamo aspettare. Tutti invocano il negoziato, ma per farlo bisogna che si fermi il conflitto, si zittiscano le armi, si blocchi l’invasione. Quale sia la strada per convincere Putin a fermarsi non lo so, ma la comunità internazionale ha il dovere di agire e presentare delle proposte per aprire un credibile negoziato.

Ovviamente questa guerra porta conseguenze pesanti su scala mondiale, sia sul piano economico che su quello degli obbiettivi connessi alla lotta contro il cambiamento climatico, che rappresenta l’altra grande emergenza a del pianeta. Probabilmente le condizioni economiche e sociali finiranno per aggravare il divario fra le grandi ricchezze, spesso fattore di rendita e di speculazione finanziaria, e la maggioranza della popolazione che registra e registrerà un ulteriore impoverimento. Ciò dovrebbe incentivare un dibattito serio sulle caratteristiche dello sviluppo, sui cambiamenti da attuare nel modo e nella qualità della produzione e nei consumi, per garantire un futuro certo e equilibrato alle nuove generazioni. Ad oggi non è così, almeno non mi pare. Il livello della discussione, e anche della partecipazione, si è abbassato di molto in termini di visione e propende per una semplificazione schematica che quasi sempre impedisce un reale confronto e annichilisce ogni tentativo di dialogo. La mia impressione è che siamo entrati nel pieno di una regressione, sia culturale che civile. Le ragioni possono essere diverse certamente, vicine o più lontane, ma su una cosa mi pare ci siano pochi dubbi, e riguarda l’avvento dei social media e soprattutto l’uso che ne viene fatto, o che inducono a fare. Forse una riflessione sul tema sarebbe utile.

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