Le notizie principali, nei giorni che hanno seguito Pasqua, sono state la confusione sull’andamento del piano vaccinale e la conferma dei dati che segnalano un notevole sviluppo delle diseguaglianze, in conseguenza della crisi economica e sociale prodotta dalla pandemia. Sulle vaccinazioni l’aspetto più preoccupante è il ritardo nella copertura delle fasce di età più anziane e delle categorie fragili. Sono quelle più esposte al rischio è dovevano avere la priorità assoluta. Non è stato così per errori sulla distinzione nell’uso dei diversi vaccini e per le scelte delle Regioni sulle categorie da inserire nelle priorità. Poi ha pesato anche il ritardo sulle forniture vaccinali.
Resta il fatto che, se gli errori sono possibili nel quadro di una emergenza sanitaria come quella che viviamo, meno comprensibile è l’atteggiamento sempre auto-assolutorio, e spesso conflittuale, dei Presidenti delle Regioni. Penso innanzitutto alla Toscana. Ferisce vedere che siamo nelle ultime posizioni sulla copertura degli over ottanta, ed è evidente il limite della decisione di affidarne la vaccinazione, peraltro con poche scorte, ai medici di famiglia. Allo stesso tempo non sono state ben chiare e selettive le indicazioni sulle categorie da vaccinare subito. Ora si corre ai ripari, ma sarebbe stato auspicabile comunicare apertamente sullo stato della situazione e ammettere e motivare anche cosa non è andato nel verso giusto.
Di fatto quello che si è creato in Toscana, che aveva una forte credibilità sul piano del sistema sanitario regionale, è un clima incerto, critico, con tanto scetticismo, che gli operatori negli ospedali e nel territorio non meritano. Ma è evidente che si pone semmai un serio interrogativo sulla capacità di svolgere una direzione coordinata e coinvolgente di tutte le responsabilità, sul piano dell’indirizzo politico. In una fase difficile come questa non si è vista una squadra, come dovrebbe essere la Giunta, ma una serie di iniziative e di presenze individuali di alcuni rappresentanti della Regione, scoordinate fra loro, dietro agli interessi più vari, senza un reale e leggibile rapporto con l’azione del Presidente Giani. Si tratta di una questione da affrontare e raddrizzare al più presto perché siamo solo all’inizio di una legislatura regionale che dovrà fare i conti con tanti problemi. Per farlo ci vogliono più politica, più confronto e meno presenzialismo.
Penso che una riflessione in tal senso debbano farla tutte le forze della maggioranza di centrosinistra. Anche sul piano della battaglia politica più generale è necessario che la sinistra, i progressisti, l’insieme del centrosinistra, si pongano il problema centrale di combattere visibilmente contro la crescita delle diseguaglianze. Nella crisi il divario, fra una parte ricca che si arricchisce ancora di più e una maggioranza di persone e di famiglie che si impoveriscono, aumenta e enormemente. E nei fattori di allargamento delle ingiustizie e delle distanze sociali entrano anche, oltre al reddito, le condizioni di lavoro, la precarietà e l’insicurezza per il futuro, le condizioni culturali di base come l’accesso all’istruzione. Non solo l’ascensore sociale per diversi strati sociali si è fermato ma sta tornando indietro: sta scendendo.
Forse è giunto il momento di non limitarsi alla denuncia di questi effetti della crisi, ma di provare a ragionare su come riprendere innanzitutto le fila del rapporto con questa parte della società, sempre più grande e sofferente, per dare le gambe ad una idea concreta di cambiamento nella direzione dell’equità e della sostenibilità dello sviluppo.