Ormai quasi ogni giorno avviene qualcosa che rimanda chiaramente all’emergenza climatica, agli effetti del riscaldamento del pianeta. Dalla tragedia della Marmolada, ai fiumi in secca, alla siccità, agli incendi, fino agli improvvisi e violenti fenomeni temporaleschi o alle inondazioni che qua e là attraversano i vari continenti. Eppure le immagini dei ghiacciai che si sciolgono e si riducono le vediamo in tv da diversi anni, e gli allarmi non sono mancati. Certo ci sono i negazionisti, quelli che dicono che si tratta di vicende cicliche, ma ciò non toglie che i fatti dimostrano una serie di evidenti criticità che come minimo comporterebbero un’azione coerente e incisiva sul piano della prevenzione. Anche da parte di chi crede che non sia in discussione il futuro del pianeta ma che si tratti più o meno di fenomeni dì assestamento.
Invece la politica, ai diversi livelli, nazionali e internazionali parla dei pericoli e proclama le preoccupazioni, annuncia misure, ma di fatto non cambia impostazione e prosegue nelle vecchie politiche di sviluppo. Penso all’Europa che parla di transizione ecologica e poi mette nelle energie sostenibili il gas e il nucleare, mentre rilancia il carbone per fronteggiare l’emergenza energetica prodotta dalla guerra in Ucraina. E anche se scendiamo in una scala di problemi certamente minori ci chiediamo comunque quali opere, interventi, progetti, pensati e elaborati sei, sette o dieci anni fa e messi in via di realizzazione adesso, peraltro anche con finanziamenti del Pnrr, sono stati sottoposti a verifica.
Ovvero se sono coerenti e non in contraddizione con l’esigenza di portare avanti scelte che non aggravano le condizioni ambientali e non pregiudicano in negativo il futuro. Per fare degli esempi si può chiedere che senso ha sviluppare il trasporto aereo, che è altamente inquinante, laddove è possibile sviluppare l’alternativa dei collegamenti su ferro, con l’alta velocità. Oppure che senso ha investire centinaia di milioni per realizzare nuove strutture portuali in mare quando è certo che produrranno nei tempi brevi danni consistenti come l’erosione della costa e nei tempi lunghi, se non si ferma il riscaldamento climatico, probabilmente dovranno fare i conti con l’innalzamento dei livelli del mare. È il caso, sul locale, della Darsena Europa a Livorno. Tra l’altro bisogna ricordare che l’erosione della costa sta già minacciando seriamente tutta la zona pregiata delle acque dolci (le lame) nel Parco di San Rossore. Forse sarebbe il caso di fermarsi e fare almeno una seria e rigorosa verifica.
Ovviamente lo stesso criterio dovrebbe essere applicato a tanti altri casi di opere cosiddette cantierabili, e quindi finanziabili, pensate e progettate diversi anni fa, quando nessuno pensava alle emergenze climatica ed ambientale. Assumere un criterio simile significa ragionare sul fatto che i guai in questo campo vengono dal modello di sviluppo e di consumi perseguito finora e che, dunque, la questione di fondo è quella di cambiare davvero le linee dello sviluppo verso una reale sostenibilità. Eppure se solo pensassimo alla prevenzione, penso in campo idrogeologico, o nella dispersione delle risorse come l’acqua, o delle energie rinnovabili, di possibilità di investimenti ne possiamo trovare a bizzeffe, generando economia e creando lavoro. Tra l’altro anche sul piano sociale stanno crescendo situazioni di grave emergenza.
I dati pubblicati dal rapporto dell’ISTAT sui giornali dello scorso sabato parlano chiaro: la povertà assoluta in Italia è aumentata enormemente ed è stimata in cinque milioni e mezzo di persone. Si calcola che il reddito di cittadinanza è servito a contenere di almeno un milione di persone lo scivolamento nella povertà assoluta. Il peso della crisi economica aumenta le diseguaglianze e si scarica soprattutto sui giovani e le donne. La natalità è in forte calo, e con essa la fiducia nel futuro. Ecco, anche questo aspetto riguarda pienamente il modello di sviluppo. Ma nessuno o quasi pone questo tema nel dibattito politico e ancora meno sul piano mediatico e dell’informazione. Si finisce sempre, quotidianamente, a parlare di come mettere le toppe alle emergenze. Al massimo, dai più avveduti, si può ottenere un “vorrei ma non posso”.