Purtroppo non sono ancora fuori dall’isolamento. Speriamo nel tampone previsto per mercoledì. Tuttavia in questo periodo, un po’ troppo lungo, non sono mancati i contatti telefonici con tanti amici e compagni che giustamente si interrogano sulla situazione politica e sull’improvvisa svolta verso le elezioni anticipate. Ovviamente c’è una diffusa confusione e trovare e indicare risposte chiare è molto complicato, anche se non mancano coloro che indicano ricette basate soprattutto sui propri desideri anziché su una analisi delle soluzioni possibili, concretamente percorribili. Mi riferisco in particolare al dibattito che riguarda la sinistra, che ha il problema di costruire e presentare una proposta e una aggregazione politica in grado di contrastare una destra che si presenta come nettamente favorita nella battaglia elettorale.
Una cosa è certa: i problemi, i rischi e le difficoltà non mancano. In realtà sono venuti al pettine nel modo peggiore i nodi non affrontati e non sciolti negli ultimi cinque anni. Nel Partito Democratico non si è voluto affrontare il tema di restituire un profilo di sinistra al partito, a partire dai contenuti programmatici, dopo la sciagurata fase del renzismo. Nella sinistra che fuori dal PD poteva provare a costruire un credibile soggetto nuovo, unitario, capace di contrastare la frammentazione senza scadere nelle aspettative demagogiche, come era il progetto iniziale di Liberi e Uguali, si è preferito abbandonare in fretta e furia quel progetto per perseguire spazi di autoconservazione che non hanno prodotto niente. Anzi si sono via via osteggiati anche progetti regionali che comunque ponevano il tema dell’aggregazione unitaria tra movimenti di sinistra e ambientalisti, come è avvenuto nelle ultime elezioni regionali in Toscana.
Non credo, con queste premesse, che sia semplice indicare una via largamente condivisa. Per un certo periodo, dal Governo “Conte 2”, si è pensato che forse la strada per rivitalizzare la sinistra potesse essere quella dell’alleanza con il M5S. C’è stata una evoluzione ma con molte ambiguità e incognite, seppure apertamente contrastata dai centristi di ogni tipo, significativamente supportati dai grandi giornali italiani e dalle loro proprietà. Resta il fatto che anche Conte è rimasto impigliato nelle evidenti contraddizioni del Movimento, sulle quali ha giocato la destra per aprire la via alle elezioni anticipate. Ora ci giochiamo in due mesi il futuro del Paese con una legge elettorale pessima, che favorisce nettamente le grandi coalizioni, e rispetto alla quale l’alleanza fra la Meloni, Salvini e Berlusconi ha tutte le condizioni per ottenere un risultato largamente favorevole.
Domenica, in un argomentato articolo sul Manifesto, Antonio Floridia ha spiegato bene il funzionamento di questo sistema elettorale misto, con l’ammonimento che se il fronte opposto alla destra è diviso e frammentato il rischio è che la destra faccia cappotto arrivando a eleggere due terzi dei parlamentari. In questo modo può raggiungere la soglia per cambiare la Costituzione da sola e senza alcun obbligo di verifica con la volontà dei cittadini. Per questo Floridia richiamava tutti i soggetti del campo democratico e progressista, comunque alternativi alla destra, a perseguire accordi, anche tecnici, per trovare il massimo di convergenza sulle candidature nei seggi uninominali. Non si tratta del solito appello al voto utile, ma del ricorso a un voto di necessità se si vuole battere la destra, o almeno evitare il rischio del cappotto. Penso che su tale questione sia opportuna una attenta riflessione e un confronto senza pregiudizi da parte dei gruppi dirigenti delle forze progressiste.
Però, allo stesso tempo, non credo che la sinistra possa recuperare molti consensi puntando sulla “paura della destra” o sul “male minore”. Temi che, da soli, hanno perso molta capacità di persuasione. Lo dimostra l’aumento consistente dell’area del non voto tra i settori popolari e le realtà sociali più esposte alla crisi. Se non c’è un’offerta politica in grado di parlare a quel malessere sociale la scelta diventa quella di disertare le urne. Il problema di fondo è quello di mettere in campo, con proposte e messaggi percepibili e credibili, un progetto che parli di lavoro, di salario minimo, di lotta alla precarietà e alla povertà, di giustizia sociale e di equità fiscale, di diritto alla salute e all’istruzione pubblica, di sviluppo sostenibile a partire dalla lotta al cambiamento climatico e dalla tutela dell’ambiente. Un progetto che guardi oltre e più avanti delle emergenze di questi anni e renda evidente l’inganno della demagogia e del populismo e l’illusione del tecnicismo, che sono stati al centro della propaganda e delle prediche mediatiche nell’ultimo decennio. È una cosa possibile? Ci vorrebbe un miracolo, ma forse sarebbe già un passo avanti pensarci e prepararsi a un dopo elezioni che non riproponga più le logiche di una politica personalistica e frammentata come quella attuale.