Come valutare il nuovo Governo guidato da Mario Draghi? E’ la domanda che in queste ore si stanno facendo in tanti; sia quelli che hanno attaccato il Governo precedente guidato da Giuseppe Conte, salutando la crisi come l’avvento della salvezza nazionale, sia coloro che invece hanno visto e vedono nella caduta dell’esecutivo giallorosso un arretramento delle ragioni degli strati sociali più deboli. I fatti ci dicono che da parte di importanti settori e poteri del sistema economico italiano c’è stata una campagna insistente, per mesi e mesi, contro il Governo Conte, alimentata dalla quasi totalità dei media del Paese, volta a indebolire la maggioranza e creare le condizioni per un cambiamento.
La ragione, come è risultato evidente, stava e sta nella volontà di condizionare e mettere le mani negli indirizzi e nelle scelte di utilizzazione dei 209 miliardi del Recovery fund. E questa campagna ha avuto uno sbocco è un successo quando un gruppo parlamentare della maggioranza, Italia Viva, ha deciso di staccare la spina e far cadere il Governo. E Matteo Renzi lo ha chiaramente rivendicato con la motivazione che doveva essere interrotta l’esperienza della maggioranza giallorossa perché non andava consolidata l’idea della costruzione di una alternativa al centrodestra per le prossime elezioni, ma semmai la strada è quella di favorire un’ipotesi centrista. Mascherando il tutto con pretesti che si sono rivelati falsi e strumentali, come quello sui ritardi nelle vaccinazioni rispetto agli a altri Paesi europei o sull’imprescindibile ricorso al Mef.
Una rottura irresponsabile che ha messo il Presidente Mattarella nella condizione di dichiarare il commissariamento della politica, per l’impossibilità di andare alle elezioni, per evitare un vuoto di governo nel pieno dell’emergenza pandemica e degli impegni europei, estremamente pericoloso per il Paese. Per questo Mattarella ha chiesto ad una figura autorevole sul piano internazionale come Mario Draghi di farsi carico di governare l’Italia non con una coalizione ma con una convergenza parlamentare di salvezza nazionale sulle sue proposte. Infatti le forze politiche sono state chiamate a dire sì o no all’appello del Capo dello Stato, senza conoscere peraltro il programma del Presidente incaricato. Non c’è stato nessun tavolo di confronto fra le forze politiche. Nel contempo, attraverso i media, si è generata nel Paese una grande attesa sulla formazione del nuovo Governo, evocato come “dei migliori” o “di alto profilo”. In questo contesto era inevitabile, per chiunque ha un minimo di senso di responsabilità, mettere in campo la propria disponibilità. Anche per la Lega di Salvini, che ha dovuto fare una notevole giravolta acrobatica, ben pressato dal sistema produttivo delle regioni del Nord che non ha nessuna intenzione di restare imprigionato nella agitazione della propaganda sovranista.
Ora il Governo è nato, composto sulla base di un compromesso gestito direttamente da Draghi con il Presidente Mattarella. Nei punti chiave ci sono i tecnici, i competenti, e poi i ministri politici, dosati con particolare attenzione per far sì che nessun partito possa apparire vincitore. C’è la discontinuità ma anche la continuità, attraverso la riconferma di molti ministri uscenti. Tanto da smentire molti giudizi liquidatori sul lavoro del Governo Conte. In particolare sulla gestione dell’emergenza sanitaria e sul lavoro svolto dal ministro Speranza. Certo, ci sono anche figure molto discutibili che riportano in scena gli anni del berlusconismo e si notano anche assenze di pesanti, come quelle degli attori principali sulle risorse del Recovery fund, Amendola e Gualtieri, o del progetto per il rilancio del Sud, Peppe Provenzano. Così come colpisce in negativo il basso numero di donne proposte. Nel complesso la composizione del Governo Draghi non scalda i cuori di nessuna parte e si può dire che certamente sposta a destra l’asse dei suoi riferimenti.
Tuttavia sul piano dei contenuti concreti la partita è tutta da vedere. Per adesso abbiamo visto l’intento di Draghi di riconoscere un ruolo importante al confronto con le parti sociali e l’associazionismo ambientalista, respingendo la pratica della disintermediazione teorizzata da Renzi e dai liberisti, e abbiamo letto dei suoi propositi sulla centralità delle politiche ambientali e sulla tenuta della progressività fiscale. Comunque vedremo alla prova dei fatti. Anzi, credo che proprio nella scelta delle forze della passata maggioranza giallorossa, se decidono di camminare insieme, stia la reale possibilità di incidere negli indirizzi del Governo avendo una consistenza numerica superiore a quella del centrodestra. Per questo credo che una scelta pregiudiziale di stare fuori non produrrebbe niente di positivo, perché avrebbe il senso di scegliere l’ininfluenza invece di quello della battaglia politica. Inoltre è necessario pensare anche alla prospettiva elettorale del 2023, se non prima, a cui dobbiamo arrivare con una proposta aggregativa, per una alleanza in grado di battere la destra.
Su questo piano è ovvio che un ruolo centrale deve svolgerlo il PD e c’è da augurarsi che Zingaretti rifletta e superi limiti, incertezze e ambiguità delle politiche che hanno permesso a Renzi di dare al PD un bel po’ di fregature. Tuttavia non bisogna sottovalutare le insidie, gli aspetti problematici o negativi, che sono presenti nella situazione politica attuale e che hanno una forte connessione con la crisi economica e sociale in atto. A partire dagli umori e dagli orientamenti (o disorientamenti) da tanti strati della popolazione. Si dice, giustamente, che per fronteggiare questa crisi occorre recuperare la fiducia. In molti, in questi giorni, hanno esultato per l’andamento della borsa e la crescita dei “mercati”. Ma dubito che questa sia la fiducia di cui ha bisogno il Paese per reagire alla crisi. Certamente ci vuole un Governo capace di trasmettere rassicurazione e stabilità, ma è un’altra cosa dai mercati finanziari che generano, com’è ampiamente dimostrato, crescita delle diseguaglianze e non il contrario.
La fiducia di cui c’è bisogno è invece quella che responsabilizza la società e le persone, incentiva la solidarietà, si fonda su politiche che creano lavoro, parlano al disagio sociale, affrontano gli squilibri attuali, a cominciare della tutela della salute e dell’ambiente. Il rischio è invece quello che ripone la fiducia “nell’uomo della provvidenza”, a cui delegare totalmente il Governo delle cose. L’uomo forte, il decisore decisionista, il capo o il capitano, sono soluzioni che stanno nel modo di pensare di gran parte degli italiani; quasi allo stesso modo in cui si giustificano i furbi e i trasformisti. Ecco, il mio dubbio è se la risposta che ha dato Mattarella alla manovra che ha disarcionato Conte e creato un pericoloso vuoto di governabilità, indicando una soluzione fuori dagli schemi del confronto politico, parlamentare e elettorale, vada nella direzione di rinsaldare la fiducia nella democrazia e nelle istituzioni parlamentari, oppure apra ulteriormente la strada a pulsioni di tipo populista. Forse vale la pena di ragionarci su, almeno un po’.