E’ un’impresa assai dura trovare oggi un qualche motivo di ottimismo, o persino di buona volontà, nella situazione politica attuale. Italiana e internazionale. E possiamo anche anche aggiungere il tema delle prospettive economiche, sociali e ambientali, che non sono da meno in quanto a insidie e preoccupazioni. Certamente si tratta di un contesto che non incoraggia all’impegno e alla partecipazione. Almeno per me, per quanto mi riguarda. Infatti ho tralasciato per molte settimane il proposito di commentare le vicende politiche attraverso i post su questo sito. Eppure di cose ne sono successe.
Ma forse è proprio per queste, per l’enormità della disumanità messa in evidenza dalle guerre, in Ucraina come a Gaza, dove si assiste allo sterminio quotidiano di civili, donne e bambini, e per le risposte poco responsabili e cariche di ipocrisia portate avanti dai governi dell’Occidente, che si avverte un senso di estraniazione o di rifiuto della realtà. A ciò concorrono in modo decisivo i messaggi del sistema mediatico e dell’informazione, che ormai è in grandissima parte manipolato dai poteri economici e finanziari. A tutti i livelli. Le inchieste giornalistiche che scavano sulla realtà dei fatti, sono diventate cosa rarissima e gran parte delle notizie arriva dalle veline degli uffici stampa.
Certo, molte cose non si possono nascondere, ma si fa di tutto perché le notizie scomode finiscano nel dimenticatoio il prima possibile. E’ in questo quadro, nel pieno di una “guerra mondiale a pezzi”, che cresce la “globalizzazione dell’indifferenza” che denuncia Papa Francesco. Mentre tutti i dati dell’economia ci dicono che sono in aumento considerevole le diseguaglianze e i fenomeni di povertà e disagio sociale, qui e in Europa. Gli analisti del voto dicono che anche la vittoria di Trump sia motivata in parte significativa dalla rabbia dei più poveri e dalle paure dei ceti indeboliti dall’inflazione. Nei Paesi occidentali si registra una espansione dell’allarme e dell’ostilità verso l’immigrazione, che viene ampiamente cavalcata per ragioni elettorali. Il problema esiste e non può essere ignorato, ma è irrisolvibile con politiche di chiusura e di respingimento.
Solo con politiche che riducano i fattori di isolamento e di miseria economica e sociale, accompagnate da azioni di integrazione, è possibile ridimensionare gli aspetti che producono criminalità e allarmano i cittadini. Nel contempo in Italia, oltre al tema della crisi demografica, in comune con gli altri Paese europei, si aggiunge il processo di emigrazione di tanti giovani italiani, 50% laureati, alla ricerca di soluzioni di lavoro, di stipendi e di vita migliori delle nostre. Indagini accreditate parlano di circa 50mila espatri in un anno dopo Covid. Allo stesso tempo l’ufficio studi di Confindustria scrive che per tenere in piedi il sistema produttivo nei prossimi anni occorre l’inserimento di almeno 120mila lavoratori ogni anno. Però si continua ad affrontare in modo demagogico e strumentale la questione dell’immigrazione. Non molto diverse sono le modalità di “negazione della realtà” con cui si affronta la questione del cambiamento climatico, cancellando il tema del futuro del pianeta e delle attese per le nuove generazioni pur di non mettere in discussione il modello di sviluppo attuale.
La mia opinione è che a partire da queste schematiche considerazioni ci sia bisogno, da parte delle forse di sinistra di un progetto politico di alternativa chiaro e visibile, con la radicalità necessaria per uscire da quella sorta di omologazione del “sono tutti uguali” che caratterizza il senso comune più diffuso. L’elezione “inattesa” con le primarie di Elly Schlein alla guida del PD ha segnalato, mesi fa, questa esigenza. Una novità che certamente ha pesato molto nel recupero elettorale del PD nelle recenti elezioni europee, ma che ha bisogno di tempi più lunghi per recuperare sull’ampia area di elettori di sinistra che per le delusioni degli anni passati si sono rifugiati nell’astensione dal voto.
Ovviamente per raggiungere questo obiettivo è fondamentale portare avanti con coerenza una proposta di cambiamento sul piano della giustizia sociale e ambientare e di rinnovamento della politica e del partito. Ciò è ancora più importante in un contesto in cui vengono messi in discussione aspetti e valori decisivi per la tenuta del sistema democratico. Questa esigenza rischia però di restare appannata, in secondo piano, di fronte ad una discussione tutta piegata sul tema delle alleanze. La politica delle alleanze non è una cosa nuova nel dibattito della sinistra, ed è certamente necessaria in un quadro di regole elettorali che le impongono se non si vuole lasciare il campo aperto alla destra, come dimostrano anche i successi nelle regionali in Emilia Romagna e in Umbria. Ma il processo di incremento dell’astensionismo pone il problema di una riflessione più ampia di quello degli schieramenti in campo, peraltro con sondaggi e analisi dei flussi elettorali che indicano una scarsa propensione alla “mobilità”nelle scelte elettorali. Lo spazio per costruire una alternativa credibile alla destra passa inevitabilmente nella capacità di riportare al voto tanti elettori di sinistra e di intercettare una quota importante del voto giovanile.
Se queste considerazioni hanno fondamento allora bisogna far emergere un profilo della sinistra fortemente collegato ad un progetto di cambiamento. Questo compito spetta innanzitutto al PD, ma è evidente che non può affermarsi senza l’apporto e la partecipazione di tante persone che credono nei valori della sinistra. Tuttavia il primo passo deve farlo un gruppo dirigente, con in testa la Segretaria Elly Schlein, davvero convinto della necessità di interpretare una proposta nuova per il Paese e anche per l’Europa, visto che dalla crisi delle socialdemocrazie non arrivano segnali e idee capaci di indicare un percorso di autonomia e di svolta nei confronti dei poteri economici e finanziari degli Stati Uniti. Qualcuno penserà che si tratta di una pia illusione. Forse è vero, ma è certo che senza una speranza non si costruisce nessuna alternativa.