Sono passati più di dieci giorni dall’ultima nota che ho scritto. Per due o tre volte mi sono messo alla tastiera ma poi ha prevalso la scelta di non scrivere niente. Non credo sia per pigrizia. Forse, chissà, è il portato del lockdown che ha trasmesso una certa dilatazione del tempo. Ma in realtà credo che dipenda dalla diminuzione delle occasioni di scambio delle opinioni, dall’affievolimento degli stimoli al confronto sulle vicende politiche e sociali che viviamo, da un riflusso nella sfera individuale del modo di valutare la politica. E sempre più spesso con un certo distacco. Si tratta però di una sensazione di cui è difficile stabilire la portata perché comunque, ogni giorno, specialmente adesso, ti trovi nella situazione di porti delle domande su cosa accadrà nei prossimi mesi. Non tanto sul piano delle vicende politiche. Sui giornali degli ultimi giorni campeggiano vari sondaggi sul livello di fiducia degli italiani verso il Governo e le istituzioni. Alcuni dicono che tiene, è il più alto degli anni passati, altri che è in calo ma è sempre alto rispetto a quello dei partiti.
Quello che comunque si evidenzia è che non esiste attualmente una alternativa praticabile a questo Governo, che nel complesso si trova a gestire una situazione davvero difficile. Forse lo farebbe meglio se i litigi o i protagonismi eccessivi nell’ambito della maggioranza, e dello stesso Governo, fossero più contenuti. Ma da tutte le indagini vengono fuori preoccupazioni ancora molto forti sul piano della paura del virus e, ancora di più, sulle prospettive economiche e sociali del Paese per i prossimi mesi. Riguardano il lavoro, l’occupazione e i redditi di tante persone e di tante famiglie. Del resto i dati concreti della Caritas ci dicono che anche a Pisa si stanno registrando non pochi fenomeni di impoverimento, e l’impressione è quella che le diseguaglianze cresciute negli ultimi anni tenderanno ad aumentare investendo anche categorie sociali che fino al coronavirus si sentivano più protette.
Allora la domanda sul rischio che il malessere sociale sfoci in una nuova ondata di populismo e di antipolitica è seria e chiede delle risposte. Non so, non credo, che i provvedimenti presi finora, compreso l’auspicio che l’Europa ci venga incontro, ci mettano al riparo da questo rischio. Peraltro il proposito diffuso che si debba o si possa tornare alla normalità precedente è fallace perché le condizioni oggettive sono profondamente mutate e il Paese si troverà a fare i conti con un indebitamento enorme, e se le risorse che arriveranno saranno utilizzate per mettere le toppe non rientreremo più, e le nuove generazioni pagheranno un conto salatissimo.
Comunque il timore è che crescano ulteriormente i processi di frammentazione sociale e con essi la capacità di coesione della società. Ecco che torna il tema di come affrontare la crisi, con quali scelte di cambiamento del modello di sviluppo, con quale cultura politica e con quale visione guardare al futuro dell’Italia e dell’Europa. Purtroppo su questo punto, su questa esigenza, si vede ben poco. Può darsi che il mio punto di vista sia troppo pessimista, ma avverto che se non riusciamo, se la sinistra non riesce, a mettere in campo un’idea di cambiamento e di futuro le prospettive possono essere davvero difficili, soprattutto sul piano della democrazia.
Nel frattempo si moltiplicano manovre e giochi di potere, come l’atteggiamento dei grandi gruppi dell’informazione o della Confindustria, o come la sponda di Renzi a Salvini, che mirano al logoramento dell’attuale Governo con l’obbiettivo di mettere le mani sulla ricostruzione del dopo Covid-19. In questo quadro la scadenza del passaggio elettorale previsto per settembre può diventare cruciale e c’è da chiedersi, anche in Toscana, se quello che si vede nella costruzione di una proposta e di uno schieramento di centrosinistra sia all’altezza della sfida.