Anche a me capita spesso di scambiare qualche opinione con persone che conosci da tempo e che ti chiedono cosa pensi di ciò che sta avvenendo, sulle guerre e sui massacri di civili inermi che vediamo ogni giorno in tv. Rispondere non è sempre facile, soprattutto quando ti trovi di fronte ad una interlocuzione caratterizzata da una scelta di parte già fatta, che assomiglia più al tifo che al ragionamento. Certamente un contributo decisivo a far crescere un clima di contrapposizioni e di intolleranza viene portato dal sistema mediatico italiano, poco propenso ad una informazione davvero libera e quasi sempre assoggettato agli interessi degli editori e dei loro ambienti di riferimento. Un clima nel quale si fa fatica a capire il livello di gravità in cui ci troviamo. Si parla esplicitamente dell’idea di prepararsi alla terza guerra mondiale, si investono enormi risorse per gli armamenti, si nasconde il rischio concreto di uno scivolamento verso l’uso dei missili nucleari, si respingono gli appelli per il cessate il fuoco a Gaza nonostante i trentaduemila morti sotto le bombe, di cui un terzo sono bambini.
Eppure la reazione dell’opinione pubblica internazionale appare assai blanda e distratta, almeno in termini di mobilitazione. E’ vero che dai sondaggi emerge una posizione largamente preoccupata dei conflitti in corso e molto critica con l’azione militare di Israele, tanto da far emergere una crescita insidiosa dell’ antisemitismo. Il dramma umanitario che si sta consumando nella striscia di Gaza rende queste preoccupazioni ancora più grandi e tuttavia non si intravede una soluzione per la questione palestinese. Nessuna delle due parti accetta l’idea dei “due popoli due Stati”. Non la vuole Netanyahu e non la vuole Hamas, e in questo contesto la causa palestinese, o meglio il sacrificio del popolo palestinese, sarà utilizzato come alimento e carburante per il fanatismo jihadista e per le sue derivazioni terroristiche. Di fronte a questa situazione l’unica voce che parla chiaramente della necessità di rimettere in cima ai pensieri e alle azioni dei governi la costruzione della pace e’ Papa Francesco. Non lo fa l’Europa, che parla solo di armamenti; non lo fa Biden, capo di un Paese che appare sempre più debole sul piano politico e sempre più forte sul piano degli affari dell’industria bellica; non lo fa ovviamente Putin l’invasore, con il suo disegno di Russia zarista; non lo fa Zelensky, ostile verso l’idea di aprire un negoziato senza prima avere ottenuto la sconfitta della Russia. Ma purtroppo gli appelli del Papa, che richiamano l’esigenza di riaffermare una coesistenza pacifica, vengono considerati come propositi nobili e dovuti per la sua autorità religiosa ma poco apprezzati sul piano politico. Il rischio è che ignorando gli appelli a mettere la pace prima di ogni altra cosa si consolidi l’imbarbarimento civile e culturale a cui assistiamo impotenti.
Ecco, fatte tutte queste considerazioni, c’è assai spesso qualcuno che comunque ti chiede “con chi stai? con Putin o con Zelensky? Con Netanyahu o con Hamas?”. Per quanto mi riguarda penso che le idee intrise di fanatismo e di nazionalismo di tutti e quattro siano da rigettare decisamente, e con esse anche una certa interpretazione del ruolo dell’Europa, vista come espressione dell’atlantismo, sia nociva e senza prospettive. Chissà se è ancora possibile ritrovare la via di una Europa effettivamente autonoma e unita, capace di incidere sugli equilibri del mondo con i valori della pace, della giustizia, della libertà e della democrazia.
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