Poco fa ho sentito al tg la notizia sull’ulteriore aumento delle diseguaglianze documentata da Oxfam. Crescono le persone e le famiglie in condizioni di povertà mentre i ricchi si fanno più ricchi. La ricchezza del mondo è sempre più concentrata nelle mani di pochi e questo è anche un effetto delle politiche fiscali che aboliscono le progressività e favoriscono i redditi più alti. E soprattutto le rendite finanziarie. E Oxfam non ha svolto questa analisi su richiesta della sinistra ma lo ha fatto per conto di uno dei grandi appuntamenti dei potenti della Terra: quello di Davos. C’è dunque da crederci seriamente. Allora è proprio da qui, da questa realtà, che deve necessariamente ripartire la visione, il progetto e l’iniziativa della sinistra; dalla necessità di mettere in discussione e cambiare i meccanismi dello sviluppo che producono a dismisura le diseguaglianze. Altro che “quota cento” o “reddito di cittadinanza” con cui gli imbroglioni del populismo sovranista pensano di soddisfare il profondo malessere sociale cresciuto con la crisi economica di questi anni. Molti ci credono, ma prima o poi dovranno fare i conti con le furbe e false promesse elettorali. L’azione della sinistra sarà tanto più efficace quanto più sarà capace di indicare una svolta profonda nelle politiche e rapporti di forza che oggi tutelano quegli enormi squilibri che si materializzano in una insostenibile ingiustizia sociale. Ecco, se si parte da qui, da queste considerazioni, allora la discussione attuale sulla scadenza delle elezioni europee, su quali liste o alleanze presentarsi agli elettori, appare assai debole. Non è con le ansie elettorali che si affrontano e si risolvono le grandi contraddizioni del nostro tempo. Il populismo sovranista non si sconfigge con un fronte unico, con un listone europeista che inevitabilmente rappresenterebbe la difesa dell’esistente. Come del resto, al contrario, assai poco attraente si presenta l’idea di dar seguito a nuove frammentazioni minoritarie. Quello che ci vorrebbe, secondo me, è una nuova proposta per un partito della sinistra fondata su un progetto e un nuovo gruppo dirigente, in grado di prendere le distanze non dalla storia della sinistra italiana ma dalle politiche e dalle pratiche seguite negli ultimi decenni, e soprattutto di misurarsi con una visione unitaria con i mutamenti di prospettiva imposti dalla crisi e dai suoi effetti. Purtroppo il dibattito attuale, in LeU o ArticoloUno-Mdp o nel PD, non mi sembra sia adeguato a questa sfida. E in particolare, per quanto mi riguarda, seguo con una forte delusione quanto sta avvenendo con lo squagliamento del progetto di Liberi e Uguali, ovvero del proposito di trasformare l’associazione in partito. Quello che ne viene fuori non mi convince, tuttavia credo che sia utile cercare di fare il possibile per non disperdere le tante energie messe insieme negli ultimi quindici mesi, anche promuovendo occasioni di confronto e di dibattito culturale e politico. E senza dimenticare che anche sul piano locale, con l’avvento della destra, il tema di come salvaguardare i valori e i diritti democratici diventa ancora più valido.
Sabato sono andato a vedere al cinema Arsenale “Una notte di 12 anni”. Racconta il carcere, in isolamento e in condizioni disumane, di tre guerriglieri tupamaros arrestati nel 1973, sequestrati dal regime e utilizzati per intimorire e condizionare l’opposizione. Uno dei tre era Josè Pepe Mujica, poi diventato Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Leggere i suoi scritti o i suoi discorsi, o dei suoi comportamenti, alla luce di quello che ha passato e sopportato in quei dodici anni di isolamento ti provoca una riflessione profonda sulla capacità di trasformare la negazione della vita, vissuta sulla propria pelle, in un messaggio sulla speranza e la bellezza della vita. E un po’ ti fa riflettere anche sulle miserie del pensiero xenofobo e forcaiolo diffuso dal Salvini di turno. In un incontro pubblico a Milano Pepe Mujica ha affermato: “Non può esserci felicità senza impegno. Bisogna vivere per qualcosa, non per il solo fatto di essere nati!”. Certo l’Uruguay non è l’Italia e nemmeno l’Europa, ma un uomo così può insegnarci davvero tanto.