Mentre il futuro del nostro pianeta è messo a dura prova dal cambiamento (disastro) climatico e dall’idea di uno sviluppo selvaggio, al servizio del capitale finanziario e speculativo, senza limiti e regole (che piace tanto ai populisti del tempo presente in Italia, come nel Brasile di Bolsonaro o negli USA di Trump), le forze della destra si ostinano a negare i rischi che incombono su tutti noi. E chi se ne frega del fuoco che distrugge la foresta amazzonica, dei ghiacciai che si sciolgono e delle guerre commerciali che alimentano squilibri e povertà… Tutto il mondo, oggi, può vedere quelle immagini ma per loro, i nuovi condottieri del populismo nazionalista, non contano. Ciò che conta sono gli interessi dei più ricchi, da salvaguardare attraverso la diffusione dell’egoismo individualistico e del rancore sociale, accoppiato a dosi enormi di razzismo e di xenofobia. E in questo contesto si torna pure a parlare di ripresa della corsa agli armamenti nucleari. Ecco, tutto ciò dovrebbe indurre ad una discussione ampia, sia sul piano politico che su quello sociale e culturale, in grado di coinvolgere i cittadini e di affrontare il tema del cambiamento dei modelli di sviluppo. Ma purtroppo siamo ben lontani da questa esigenza.
Anche nella vicenda della crisi politica che attraversa il nostro Paese si fa fatica a individuare un minimo di consapevolezza su questo preoccupante scenario. Dopo la scivolata di Salvini, che pensava di imporre da gradasso le sue ragioni al di sopra delle regole costituzionali, si è aperta una fase di confronto fra il M5S e il PD per verificare la possibilità di dar vita ad una nuova maggioranza parlamentare e ad un nuovo Governo. Il tutto con l’obbiettivo di evitare le elezioni anticipate e i pericoli di instabilità economica e finanziaria per l’Italia. Obbiettivo che viene motivato con il rischio, alla luce dei sondaggi, di una vittoria schiacciante della Lega nel voto anticipato e quindi di una occupazione del potere e dello Stato da parte del peggiore populismo. Un rischio reale, è vero, ma che non scompare affatto con la costruzione di soluzioni abborracciate, frutto più del tatticismo che non di un serio processo di incontro programmatico e di prospettiva, esposte comunque alla possibilità di cadere in tempi ravvicinati. Mi pare che nelle posizioni assunte da Zingaretti sulla discontinuità questo ragionamento sia presente, ma tuttavia la situazione interna al PD, con i distinguo di Renzi e della sua corrente, non lasciano presagire una grande coesione e la tenuta necessaria per affrontare una prova di Governo complicata e insidiosa. Comunque anche se i tempi per questa decisione sono molto stretti, penso che sarebbe un errore grave quello di mettere in secondo piano il giudizio sul fallimento del Governo gialloverde e su entrambi i soggetti politici che lo hanno sostenuto. Ovvero la Lega e il M5S, che peraltro esprimeva il Presidente del Consiglio. Ciò anche di fronte alla concreta ipotesi che alla fine si vada alle elezioni anticipate. Per questo credo sia giusto dire che la sinistra non debba temere le elezioni, nonostante i rischi e anche i problemi a comporre una proposta unitaria e convincente; perché comunque la strada per ricostruire una larga credibilità, soprattutto nel mondo del lavoro e tra i giovani, per un progetto di alternativa reale, è lunga e ha bisogno di tempo e di respiro, di pensiero e di presenza nella società.