I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministro dell’economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
le politiche di austerità, poste in essere per far fronte alla crisi economica, hanno determinato in questi anni tagli ingenti e controriforme continue che hanno finito per soffocare il settore della cultura, motore di sviluppo di ogni Paese, e il campo dell’università, della ricerca e dell’innovazione;
l’ultimo report dell’Ocse, «Uno sguardo sull’istruzione 2017», ha evidenziato come il nostro Paese registra appena il 18 per cento di laureati, contro il 37 per cento della media nella zona Ocse. Peggio di noi solo il Messico. Nel 2016 solamente il 64 per cento dei laureati compresi tra i 25 e i 34 anni ha trovato un lavoro;
le iscrizioni all’università sono calate in questi ultimi anni, e secondo il rapporto Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) sullo stato del sistema universitario del 2016, circa il 42 per cento degli studenti abbandona, il 12 per cento in più della media dell’Unione europea;
queste criticità, inevitabilmente, si acuiscono fortemente nelle regioni del Mezzogiorno;
questo modo sistematico di disincentivare la formazione dei giovani unita ad una rivendicazione salariale ha spinto il Movimento per la dignità della docenza universitaria a proclamare uno sciopero nel periodo compreso tra il 28 agosto e il 31 ottobre 2017. La richiesta dei professori universitari non è quindi una mera rivendicazione corporativa, ma anche quella di invertire la rotta devastante sulla formazione. Una richiesta che viene da lontano, e deriva anche da anni di contatti e vertenze con il Ministero dell’istruzione per avere riconosciuti gli scatti stipendiali fermi dal 2011: trattative che non hanno portato ad alcun esito, a fronte del fatto che, a partire dal 2015, alle altre categorie del comparto pubblico è stato accordato il riconoscimento a fini giuridici degli anni di blocco;
sono 5.444 i professori universitari e i ricercatori di 79 università e enti di ricerca italiani, che durante la sessione autunnale dell’anno accademico 2016-2017 hanno deciso di aderire all’astensione dallo svolgimento degli esami di profitto delle università italiane. Il motivo dello sciopero sta, come suesposto, nella volontà di ottenere che le classi e gli scatti stipendiali dei professori e dei ricercatori, aventi pari stato giuridico, bloccati nel quinquennio 2011-2015, vengano sbloccati a partire dal 1o gennaio 2015, anziché, come è attualmente dal 1o gennaio 2016, e che il quadriennio 2011-2014 sia riconosciuto ai fini giuridici, con conseguenti effetti economici solo a partire dallo sblocco delle classi e degli scatti dal 1o gennaio 2015. Si ricorda che, attualmente, un ricercatore universitario con venti anni di anzianità guadagna molto meno di un suo collega di altri Paesi europei, che percepisce invece uno stipendio fino a 5 volte superiore;
a ciò si aggiunga che i fondi per la ricerca, in molte sedi, sono stati pressoché azzerati, a seguito dei tagli al sistema formativo, praticati con la massima intensità nelle sedi universitarie meridionali, che prosegue ininterrottamente da quasi dieci anni;
nelle condizioni date, e soprattutto nelle sedi meridionali, fare ricerca di buona qualità (che significa appunto avere accesso a ricerche prodotte in altre sedi, soprattutto internazionali) è di fatto quasi impossibile, data l’assenza di fondi e il blocco degli stipendi;
l’acquisto di libri, l’abbonamento a riviste, la partecipazione a convegni nazionali e internazionali – cioè tutto ciò che concorre a produrre una buona qualità della ricerca scientifica in ogni ambito disciplinare – va quindi a gravare sullo stipendio, con la conseguenza, pressoché ovvia, che si acquistano meno libri, si leggono meno articoli scientifici, si partecipa a un numero minore di convegni e, dunque, si fa peggiore ricerca;
quanto suesposto finisce inevitabilmente per ripercuotersi negativamente sulla stessa qualità della didattica e quindi sugli stessi studenti e le loro famiglie, che dovrebbero essere consapevoli che, nelle condizioni date, si studia e si studierà sempre peggio –:
quali iniziative intenda assumere il Governo per dare positiva e rapida soluzione alle legittime e giuste rivendicazioni dei professori universitari e dei ricercatori di 79 università ed enti di ricerca, esposte in premessa;
se intenda prevedere, fin dal prossimo disegno di legge di bilancio, un deciso incremento delle risorse finalizzate a finanziare il sistema d’istruzione e ricerca e consentire il rilancio dell’università pubblica, gravemente penalizzata da troppi anni di tagli;
se intenda assumere iniziative per avviare un piano di investimenti a favore degli atenei, quale condizione necessaria per consentire una revisione e un superamento degli attuali limiti nell’accesso ai corsi di laurea da parte degli studenti.
«Laforgia, Nicchi, Bossa, Scotto, Cimbro, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Capodicasa, D’Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Lacquaniti, Leva, Martelli, Matarrelli, Pierdomenico Martino, Melilla, Mognato, Murer, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Simoni, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».
(19 settembre 2017)