La domanda con cui Paolo Fontanelli apre la serata numero tre di Santa Croce in Fossabanda, dedicata al futuro del Partito Democratico è volutamente provocatoria: «Il PD è ancora utile per l'Italia e i suoi cittadini?». O, detto in altri termini, «non è il momento d'interrogarsi sul serio su che cosa finora non ha funzionato nel progetto del nostro partito e su come, da qui in avanti, renderlo sempre più adatto e capace d'interpretare i bisogni del Paese?». Perché, per il Responsabile nazionale enti locali del PD, anche la tornata elettorale d'inizio giugno ha detto due cose piuttosto chiare. La prima: «E' vero che Berlusconi e il PdL non hanno sfondato come ma il blocco di centro-destra ha sostanzialmente mantenuto lo stesso peso che aveva alle precedenti politiche grazie alla crescita della Lega». La seconda, invece, chiama in causa direttamente la principale forza d'opposizione del Paese: «Non siamo stati abbattuti, ma le analisi dicono che rispetto ad un anno fa abbiamo perso quattro milioni e mezzo di voti, di cui 2,5 di persone che stavolta non sono andate a votare. E soprattutto perdiamo fra i giovani lavoratori dipendenti del settore privato, ossia fra gli operai».
Come dire, una riflessione seria s'impone e allora «ben venga il congresso purché sia vero» e «il fatto che già oggi vi siano due candidati con analoghe possibilità di vittoria è già un passo avanti rispetto alle primarie di due anni fa quando, sostanzialmente, nessuno si contrappose davvero alla candidatura di Walter Veltroni». Ma ben vengano anche serate come quella di giovedì 2 luglio in Santa Croce in Fossabanda, con quasi cento persone, molte delle quali senza alcun ruolo nella dirigenza del PD, che hanno sfidato la calura estiva per discutere di politica fino a tarda notte visto che l'intervento finale di Paolo Fontanelli è arrivato quando le ventiquattro erano già abbondantemente passate.
Conclusioni che sono risuonate come appunti per un cammino in buona parte ancora tutto da fare. A cominciare dai contenuti e dai valori ispiratori del progetto politico nato nel 2007 al Lingotto e che rischia di smarrirsi prima ancora di spegnere la seconda candelina. Perché, per l'ex sindaco di Pisa, c'è un dato di fatto storico. Che è culturale prima che politico: «Berlusconi vince perché è lo specchio del Paese: non dimentichiamo, infatti, che una cultura riformista e di sinistra in Italia non è mai stata maggioritaria. E meno che mai, lo è oggi». Come dire che un PD con un'identità valoriale forte è condizione necessaria ma forse non sufficiente. «La domanda da cui ripartire, probabilmente, è un'altra -ha continuato Fontanelli-: occorre chiedersi che cosa hanno fatto, storicamente, le forze politiche che poi sono confluite nel Partito Democratico per contrastare la cultura dominante e che cosa dobbiamo fare noi oggi per raggiungere quell'obiettivo». Una prima risposta per originare un reale cambiamento culturale nel Paese è quello «di rompere l'immobilismo sociale che oggi blocca l'Italia partendo da proposte politiche che riconoscano e valorizzino realmente il merito, ossia i più bravi e non i più furbi». Per questo, e per molto altro ancora, serve un partito "vero". «Il PD è nato come un partito leggero dal punto di vista organizzativo e con un impronta troppo leaderistica -ha proseguito-: il fallimento di quel modello è testimoniato dalle dimissioni di Veltroni che pure aveva ricevuto un'investitura fortissima alle primarie. Oggi abbiamo bisogno di un partito strutturato e legato al territorio con un leader forte ma anche con una dirigenza altrettanto significativa».
Altro capitolo, quello degli iscritti: «Per il momento sono solo 400mila, meno di quelli che avevano i DS, e un quarto di questi sono in Campania. E' evidente che occorra differenziare sempre più il ruolo e i diritti degli iscritti da quello degli elettori alle primarie perché se non vi è differenza sostanziale fra l'essere un militante e un "simpatizzante"non si capisce per quale motivo si debba decidere di prendere la tessera». Attenzione,però, sul punto Fontanelli è preciso: «Non sto dicendo che le primarie non vanno bene, anzi credo che siano uno strumento molto importante: se, però, le candidature non sono fortemente ancorate a contenuti e programmi politici, la conseguenza sono i personalismi, spesso sterili, che hanno caratterizzato i primi mesi di vita del PD».
In tal senso il congresso «è partito con il piede giusto: ci sono due candidati forti e altri se ne potranno aggiungere nelle prossime settimane». Il messaggio è anche per i cosiddetti "piombini", l'area dei 30-40enni che chiede un significativo rinnovamento generazionale nei quadri dirigenziali: «Sono tutt'altro che contrario -conclude Fontanelli-, ma perché ciò accada occorre che qualcuno si candidi: il caso di Renzi, in tal senso, è emblematico. Ho più di una perplessità sulle sue proposte politiche, ma gli va riconosciuto il fatto di averci messo la faccia: si è candidato alle primarie, ha vinto le elezioni ed oggi è meritatamente il sindaco di Firenze».
Francesco Paletti