Il finale di un anno difficile ci ripropone tutti interi gli interrogativi e le preoccupazioni che avevamo dodici mesi fa. In primo luogo la pandemia: sono arrivati i vaccini e, purtroppo, anche le varianti. Non sappiamo ancora quando ne usciremo e con quale impatto sociale per il futuro. Quello che percepiamo è un diffuso stato di incertezza, peraltro aggravato da posizioni antiscientifiche che alimentano semplificazioni e individualismo. Ciò si accompagna ad una crisi economica e sociale segnata da un aumento della precarietà del lavoro, da una diminuzione del potere d’acquisto dei redditi più bassi e da un sensibile incremento delle situazioni di povertà. Certamente nel 2021 c’è stata la ripresa produttiva e un rilancio del PIL, che secondo le previsioni aumenterà anche nel 2022, ma a questi dati positivi non corrisponde uno sviluppo dell’occupazione e del lavoro basato su dignità e sicurezza.
Le misure del Governo Draghi hanno contribuito a creare un clima economico più favorevole all’Italia, a cominciare dalla definizione nei tempi stabiliti del PNRR, ma al di là dei discorsi sulla esigenza di guardare ai più deboli non ha bloccato la crescita delle diseguaglianze da tutti denunciata. Anzi, come è ormai evidente e documentato il complesso delle misure assunte sul piano fiscale e dei bonus nella manovra di bilancio appena approvata, favorisce i redditi medio alti e lascia molto indietro quelli bassi. Una sorta di “redistribuzione alla rovescia” come evidenzia chiaramente l’articolo di Chiara Saraceno su Repubblica di oggi. Lo fa utilizzando i dati dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio e gli studi pubblicati da “la voce.info”, che non sono di certo strumenti della sinistra. Anche il Manifesto, riprendendo uno studio Cgil, titola: Irpef, chi ha di meno avrà di meno.
Si tratta, mi pare, di una linea che punta a rilanciare lo sviluppo sull’incoraggiamento a spendere e investire di coloro che hanno redditi più alti e che possono contare su depositi bancari più corposi, riproponendo la logica della redistribuzione della ricchezza per “sgocciolamento”. Quell’idea, cioè, che se la crescita produce più ricchi e più ricchezze l’economia gira e qualcosa poi arriva anche anche più in basso. Una logica già ampiamente sperimentata in tanti anni e dalla quale è assai difficile trarre una valutazione positiva in termini di equità e di giustizia sociale. Resa peraltro del tutto irrealizzabile dalla evoluzione e dal dominio del capitalismo finanziario che si sono affermati negli ultimi decenni. In tale contesto credo che la politica del Governo sia gravemente miope, sebbene “giustificata” da una maggioranza tanto eterogenea quanto obbligata, e penso che la sinistra non possa stare a questo gioco. Il malessere sociale di ampi strati della società è largamente diffuso, e per i giovani in particolare il futuro appare senza prospettive e gravato da serie incognite ambientali.
Sul piano politico abbiamo già constatato come questo malessere possa tradursi rapidamente in sfiducia, distacco, astensionismo. Ma quanto potrà stare in piedi una siffatta situazione? E dove può portare una crescita ulteriore di questo malessere? Ecco, la sinistra, se c’è, ha il dovere di mettere al primo posto il problema di costruire degli sbocchi politici per questi interrogativi, e di farlo rapidamente. Sbocchi politici e non bandierine da sventolare. Questo credo sia il compito e l’augurio principale che ci sta fronte all’inizio dell’anno nuovo. BUON ANNO A TUTTE E TUTTI!