Sono molte, immagino, le domande che affollano la mente delle persone in questo periodo dominato dalla paura del contagio. Nel giro di pochi giorni siamo passati dall’allarme e dal panico sul coronavirus a quello sulla crisi economica per tornare poi al rischio dell’epidemia incontrollata. Ovviamente con tutte le polemiche e le forzature politiche e mediatiche possibili, che non hanno giovato certamente al formarsi nell’opinione pubblica di una valutazione ponderata della situazione, preoccupata e consapevole, come dovrebbe e deve essere. Basta pensare a Salvini che a fine febbraio gridava “aprite tutto” e ora grida e pontifica sull’esigenza di “chiudere tutto”. Adesso, finalmente, sembra che un punto di valutazione largamente condiviso si sia fatto strada, costringendo anche chi ha fatto di tutto per mettere sul banco degli imputati il Governo a fare marcia indietro. Ora tutti concordano sul fatto che occorrono misure e comportamenti esclusivamente mirati a limitare e restringere le possibilità di espansione del contagio; dunque limitare al massimo i contatti e stare isolati, a casa come sul lavoro, è la prima medicina. Bloccare la moltiplicazione del numero degli infettati è la condizione essenziale per far sì che le nostre strutture sanitarie siano in grado di fermare l’epidemia.
Penso che ciò sia merito dei professionisti della materia e del mondo medico e sanitario che sta dando una prova straordinaria di capacità e di impegno, ma anche dell’azione dello Stato, del Governo e della Protezione Civile, e in particolare del Ministro della salute Roberto Speranza, che ha saputo trasmettere la percezione della gravità del problema insieme ad una forte fiducia nelle nostre strutture sanitarie. Tuttavia non sono mancate in questi giorni manifestazioni di panico e di stupidità come la corsa sui treni super affollati per tornare di corsa nelle proprie città di origine, aumentando di fatto i fattori di contagio, o l’assalto ai supermercati per fare rifornimento di viveri. Oppure il permanere di atteggiamenti incuranti del richiamo alla responsabilità posto dai decreti governativi; la classica furbizia italica di pensare soprattutto a come aggirare le regole. Non so dire quanto abbia influito su questi comportamenti l’enfasi allarmistica dei media o l’uso dei social. Nella rete web si trova di tutto. Però, visto che comunque la situazione impone a tutti l’esigenza di fare e porsi domande, forse sarebbe l’occasione per recuperare la coltivazione della cultura del dubbio, che è l’esatto opposto della cultura del rancore e del risentimento che sta alla base del populismo forcaiolo.
Il contagio che dovremmo favorire è quello delle domande sul nostro futuro, sulla difesa di un ecosistema stressato da uno sviluppo distorto è distruttivo sul piano ambientale, sulle condizioni per affermare e salvaguardare un equilibrio mondiale fondato sulla pace e sulla coesistenza, e quindi sulla lotta alle povertà e alla miseria, sulle condizioni economiche per assicurare la tutela della salute come valore universale primario garantito dagli Stati e non demandato ai privati. In questo contesto le discussioni sul tema dei commissariamenti come soluzione per rendere più veloci le decisioni, sia per le grandi opere infrastrutturali come per l’emergenza coronavirus, appaiono insieme ridicole e pericolose. Ridicole perché il tema delle decisioni non è la velocità ma il merito. Certamente Mussolini, come Hitler o Stalin, erano autorevoli decisionisti di prima fascia, ma i risultati non sono stati certamente apprezzabili. Oppure abbiamo l’esempio attualissimo di Putin, come “uomo forte” da imitare, che ha fatto approvare con velocità e “semplificazione antiburocratica” la decisione che lo rende Presidente a vita. Pericolose perché sulla base dell’emergenza si motivano scelte che di fatto svuotano e distruggono la democrazia, con le sue caratteristiche di equilibrio dei poteri, di controllo delle minoranze e dei cittadini, di procedure partecipative e di responsabilità nel funzionamento della cosa pubblica.
Ecco, il tema della democrazia, come quello della sovranità del popolo (effettiva e non esercitata da despoti e capi carismatici o determinata e condizionata da poteri economici e finanziari internazionali) dovrebbe trovare lo spazio per una larga riflessione a sinistra e fra le forze democratiche e progressiste del Paese. Speriamo di essere nella condizione, superata la bufera attuale, di poterlo fare.